A seppellire Angelucci

Davanti ad una bara con dentro un amico, è difficile fermare i pensieri e i ricordi. Persino le lacrime. E un giornalista non dovrebbe di norma confondere emotivamente e storicamente la sua esperienza con la cronaca. Ma quello davanti alla bara di Nicola Angelucci, ieri, è stato un viaggio nella memoria che sovrappone, inevitabilmente, la narrazione di un sentire personale all’esperienza di un uomo, di un politico, di un amministratore. Per questo i lettori spero perdoneranno questo inusuale e giornalisticamente scorretto articolo, con il quale, in prima persona, vorrei seppellire – restituendolo alla memoria collettiva – quell’uomo e quel politico in giacca e pochette abbinata ai calzini.

Nicola Angelucci lo conobbi nei primi anni Novanta, quando come collaboratore del presidente della Provincia Palmiero Susi mi venne a proporre, a me poco più che ventenne appassionato di cinema, di presentare il Festival del cinema nelle piazze. Accettai con piacere quell’incarico che mi avrebbe permesso di conoscere personaggi del calibro di Franco Zeffirelli e di arrotondare qualche lira facendo una cosa che mi piaceva. Erano gli anni della nascita del berlusconismo e di Forza Italia, ma la sua proposta non aveva nulla di politico: in me e nella collega Linda Ranalli (che con me condivise l’esperienza), Angelucci aveva riconosciuto – seppur di parrocchie politiche diverse – il merito di bravi (a suo dire) cronisti e presentatori (erano gli anni di Videoesse). Angelucci però mi insegnò un’altra cosa in quell’occasione: al momento di pattuire il compenso per l’incarico, io gli proposi una cifra simbolica (la gioventù di passione e volontariato) e lui, con una trattativa al contrario, mi più che triplicò l’offerta. “La professionalità va pagata” disse.
Intascai il compenso e la lezione.

Angelucci lo avrei rincontrato più volte nella vita politica e professionale e mai, quando fu assessore o presidente del consiglio, mi fece pesare o rivendicò l’attenzione che aveva avuto per me. E al suo indirizzo non avevo fatto mancare critiche, quando c’era da farle. Il suo senso delle istituzioni e la consapevolezza dei ruoli, gli imponevano un sentito rispetto per l’indipendenza della stampa e per i buoni rapporti con essa.
Era un politico incapace di portare rancore, di ridurre il confronto a tifoseria. Ed aveva un tempismo e una lungimiranza che sapeva declinare per il bene comune. Così fu anche quando, molti anni dopo, nel 2009, lo invitai alla premiazione del Festival di Sulmonacinema, di cui ero allora presidente. L’amministrazione Federico, nella quale rivestiva il ruolo di presidente del consiglio, aveva ridotto a pochi spicci il contributo per il Festival, nonostante il Sulmonacinema avesse appena portato in città la produzione del film L’Americano con George Clooney, e non si decideva a disegnare un futuro per la sala di via Roma che era stata chiusa dopo il terremoto. Ero pronto a farglielo pesare sul palco davanti a tutti, ma quella sera stessa lui annunciò su quel palco che la struttura sarebbe stata data in gestione proprio all’associazione Sulmonacinema. E fu una scelta – voluta non solo da lui – che non si limitò ad annunciare, ma si impegnò a sostenere, spendendosi anche nella sua attività privata per finanziare iniziative durante il magico periodo di gestione del Nuovo Cinema Pacifico.

Due anni fa quando entrò a far parte della giunta Casini, ruolo che avrebbe dovuto avere sin dall’inizio secondo i patti – non rispettati – fatti con i civici, ci ritrovammo di nuovo faccia a faccia, a discutere del destino di una città che nel corso dell’ultimo trentennio aveva subito un’involuzione preoccupante e si era svuotata, soprattutto, di una classe dirigente, di quelle professionalità che lui era disposto a “pagare” (in termini politici) quanto era giusto.

Si era ritrovato in un Comune sgretolato, dove non c’erano più competenze e voglia di fare e con colleghi di avventura che in gran parte non erano certo all’altezza. Si era messo però a testa bassa, nonostante la malattia che lo aveva sorpreso qualche anno prima, a lavorare, creandosi una squadra di fiducia tra i tecnici e motivandoli “per il bene della città”. Le scuole, l’edilizia scolastica, era stata il suo più grande cruccio: dopo aver risolto la vicenda paradossale dei Musp (che non si riuscivano ad aprire), aveva programmato un ruolino di marcia per riuscire a sbloccare i cantieri. Per qualcuno c’era anche riuscito (in particola per l’Isola Felice), per gli altri non ci dormiva la notte, aveva confessato. I suoi grafici e i suoi progetti, compreso quello dell’area camper che aveva voluto riconsegnare alla città poco prima di essere cacciato dalla giunta, vennero interrotti bruscamente dalla logica della politica. O meglio di una certa politica.

Perché Angelucci, che aspirava a fare il sindaco di questa città (e che probabilmente lo meritava anche), era stato scaricato come una comparsa qualunque. Sacrificato non si sa bene a quale causa di interessi politici. E di questo, nonostante la sua riservatezza e compostezza, ne aveva sofferto molto. Come uomo e come politico. Lui un voltafaccia e un’umiliazione così, non l’avrebbe fatta a nessuno. Perché prima della politica, contavano per lui, come mi aveva dimostrato da quelle piazze in cinema, il valore e il merito degli uomini e il bene comune. Era deluso e affranto da quell’ultimo progetto politico-amministrativo che aveva contribuito a trasformare in vincente alle urne (di cui era conoscitore attento) e a palazzo San Francesco, dopo questa delusione, non ci sarebbe mai tornato. Forse neanche da morto, come pure è stato con l’allestimento della camera ardente. E probabilmente, da dentro quella bara avrà accennato uno dei suoi sorrisi, ascoltando e leggendo la retorica dei grandi addii declamati sui social e al suo capezzale: i “te ne sei andato troppo presto” e gli “avresti potuto dare tanto ancora alla città”, sermoni di ipocrisia da chi nella politica oggi è più avvezzo ad usare anziché ad utilizzare gli uomini e le risorse di questa città.

Patrizio Iavarone

10 Commenti su "A seppellire Angelucci"

  1. ma che davero | 24 Giugno 2020 at 00:27 | Rispondi

    chapeau

  2. nella chiusura del pezzo tutta la verità. Ciao Nicola

  3. l'amico di Nicola | 24 Giugno 2020 at 02:19 | Rispondi

    questo articolo “giornalisticamente scorretto” è un capolavoro di onestà intellettuale, toccante, sincero, leale, come era Nicola Angelucci

  4. Non potevi fare un quadro migliore di chi era ed è stato Nicola Angelucci sul piano umano e politico ma anche di chi lo ha usato e scaricato, in maniera indegna, nella sua purtroppo ultima esperienza politica raggiungendo nel suo ultimo saluto “ISTITUZIONALE” il massimo dell’ipocrisia
    .

  5. Forse parole più vere non potevano essere espresse ! una persona corretta che purtroppo nell’ultimo periodo era circondata da opportunisti che non gli hanno riconosciuto i giusti meriti ! Un abbraccio alla sua famiglia !

  6. Da Presidente della Casa Santarelli con lui al mio fianco confesso di aver chiuso l’attività pubblica in città con soddisfazione avendo avuto la possibilità di apprezzare come si possa, pur nella totale diversità di posizioni politiche operare per l’interesse ed il bene collettivo.
    Nicola, che conoscevo da tempo, per me fu la conferma della maturazione di una classe politica dirigente cittadina che aveva un futuro per sé e per tutti noi.
    Troppo presto i ha lasciati orfani di sé e anche di questa speranza.

  7. Da Presidente della Casa Santa con lui al mio fianco confesso di aver chiuso l’attività pubblica in città con soddisfazione avendo avuto la possibilità di apprezzare come si possa, pur nella totale diversità di posizioni politiche operare per l’interesse ed il bene collettivo.
    Nicola, che conoscevo da tempo, per me fu la conferma della maturazione di una classe politica dirigente cittadina che aveva un futuro per sé e per tutti noi.
    Troppo presto ci ha lasciati orfani di sé e anche di questa speranza.

  8. Quando perdi qualcuno a cui sei legato per vincoli di; amicizia, affetto, ma anche di parentela guarda, il cuore sanguina e non importa il perché o il come, fa male e basta.
    Belle parole per una bella persona, arrivi il mio cordoglio a tutta la sua famiglia.

    Impagabile una “onestà intellettuale” come principio, da far proprio sempre e non solo quando il dolore tocca da vicino.

  9. Nicola avrebbe sorriso imbarazzato a questo articolo in cui si sente l’affetto ed in cui si riconosce chi era veramente Nic..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verrà mostrato.


*