Aggiornatissimi

Lo so, non è argomento di interesse generale.

Frega poco a chiunque non rientri nella categoria se un professionista per l’esercizio delle sue funzioni si aggiorni e come. Non è tema da condividere sul social per attirare attenzione, non fa ridere, arrabbiare, preoccupare, non regala sconti. Né pretende l’imperdibile giudizio che sembrerebbe toccarci su qualunque altro argomento, dai temi di maturità ai vaccini del morbillo.

L’aggiornamento professionale non smuove alcun sentimento. Tutt’al più il commentino indispettito di qualche dipendente pubblico, disoccupato, operaio o comunque estraneo alla categoria che si lascia andare a un generico: con quello che pigliano sti ladri è il minimo che debbono fare qualcosa.

Ma, a prescindere che non è più così – o almeno non lo è per quella moltitudine che non sta nella setta del 20% che si gode la vita con remunerazioni da capogiro – a pensarci, a chiunque prima o poi tocca aver a che fare – e spesso per questioni serie e vitali- con un medico, avvocato, ingegnere, commercialista, giornalista e via dicendo. (L’architetto non lo cito che nell’immaginario comune resta un guaio evitabile, addirittura peggio se all’avanguardia. Meglio che quelle poche certezze che gli sono rimaste le custodisca gelosamente, come un capitello corinzio miracolosamente rinvenuto nel giardino).

Che i propri consulenti siano all’avanguardia dovrebbe essere preoccupazione condivisa dai più, tanto da passare su per un attimo anche sul pregiudizio che siano tutti dei ricchi furboni evasori.

La vita e l’impresa di ognuno certamente ne risentirebbe in modo positivo.

 

Beh, ve lo voglio dire, – almeno a quelli di voi costretti obtorto collo ad avere a che fare con un professionista – l’aggiornamento divenuto per lui obbligatorio è un altro dei tristi capitoli della vita pubblica, né più né meno come il resto. D’altronde non si vede perché dovrebbe essere diversamente, se una è la cupola che produce provvedimenti e mette sue teste a gestirle.

Triste non perché, come verrebbe da immaginare, i professionisti non vogliano aggiornarsi, pagano anche ( e quindi pagano i clienti, cioè noi tutti) anche strutture e personale fra ordini, sovraordini, consigli, sedi, presidenti e colleghi -anche generosi e volenterosi – che gestiscono il carrozzone. E che, a dirla per come la direbbe il popolo, a ben guardare non servono a granchè di particolarmente irrinunciabile.

Avvertono la necessità – almeno i più motivati – di stare al passo con i tempi, di confrontarsi con altri colleghi sulle esperienze di ognuno, tu mi dici una cosa che ti sei inventato tu io una che ho scoperto, di scambiarsi conoscenze e novità.

Anche perché, se non si aggiornassero sulle questioni realmente necessarie al proprio lavoro, resterebbero al palo in una congiuntura quanto mai difficile per chiunque.

 

Provate ad immaginarli i vostri consulenti quando non li vedete, di notte, a casa, in macchina, al bagno, a rincorrere i crediti obbligatori entro la scadenza. A clickare a comando invia sul monitor per dimostrare di esserci al video dell’esperto che riempie le ore di aggiornamento obbligatorio, a smadonnare quando la linea si blocca e tocca ricominciare a loop dai saluti del presentatore, a fare la fila al desk della conferenza che si sarebbe sinceramente evitata ma si è seguita da capo a piedi imprigionati nella sala come regolamento prescrive, ad accettare anche gli inviti più tendenziosi di raccomandati e politici che regalano crediti per avere pubblico, a mercificare punti dal fornitore in cambio dell’acquisto di un bene o un servizio.

Lo so. il solito polemico disfattista – mi rimproverano colleghi e delegati – fra centinaia di corsi ce ne sarà uno interessante che fa al caso mio.

Certo, rispondo, sicuramente c’è. Ma il punto, ad essere affezionato al pelo nell’uovo, non è scamparla, suppongo, ma aggiornare la propria professione. L’obiettivo, quello che serve al professionista e di rimando alla comunità tutta, è la ricerca, questa ineffabile chimera nel paese che vi ha rinunciato in nome di urgenze ben più serie e non trovare un’occasione interessante fra le innumerevoli inutilità che ci mettono in regola nella casella dell’ordine di appartenenza.

Quindi, colleghi tutti che piuttosto che sollevare polemiche si adagiano a trovare la scappatoia meno penalizzante per accontentare il legislatore che a sua volta vuole soddisfare lo standard approfittando, già che c’è, per far lavorare società di formazione nel frattempo nate come funghi, c’è un limite alla dignità.

C’è un limite alla perdita di tempo in un momento in cui ogni momento è prezioso soprattutto per le categorie che fanno dell’intelletto il proprio lavoro e che dovrebbero anticipare, allarmare e garantire in nome e per conto della popolazione tutta quando il limite alla decenza viene sorpassato.

Che se davvero volessero darci una mano, se davvero volessero portare il Paese all’avanguardia e all’altezza degli altrove più evoluti, promuovessero lo scambio reale fra le nostre conoscenze. Che creassero le condizioni per far ripartire il lavoro perché, a farci caso, i paesi più all’avanguardia sono proprio quelli in cui si lavora di più. Come si dice, l’appetito vien mangiando.

E vedrete che i nostri professionisti vi stupiranno.

 

Antonio Pizzola

 

(in foto: schermata video di aggiornamento sulla Deontologia Professionale obbligatoria dell’Ordine degli Architetti di Messina. Stralcio di show di Enrico Brignano. 4 crediti formativi)

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