Amarcord

Mi ricordo come era bello, quando lo accompagnavo all’asilo tenendogli la manina paffutella, oppure in braccio se la giornata era iniziata male, disquisendo allegramente di Super Sayan di terzo livello, delle battute più divertenti dell’orco Shrek o della fantastica sorpresa che avrebbe trovato dentro l’ovetto di cioccolato. Una volta varcata la porta della scuola, grazie al sorriso complice della bidella e ai saluti festosi dei compagni di classe, quei tre anni sembravano improvvisamente di più. La mano che mi aveva stretto forte fino a un minuto prima, mi salutava frettolosamente, desiderosa di dedicarsi a giochi, attività e avventure, che poi mi avrebbe raccontato.
Era tanto carino, lo erano tutti. Le femminucce vezzose e delicate, con i capelli lunghi e le bambole da cullare e i maschietti che correvano qua e là, imitando suoni di motori rombanti, raggi laser e sirene spiegate.
È bastato distrarsi un attimo e quei bambini sono diventati ventenni. Oggi è strano riconoscere nei giovani uomini barbuti e nelle belle donne sicure che incontro per strada, gli stessi monelli che giocavano nel cortile della scuola, felici per la recita imminente, per un pomeriggio da passare al parco o per la pizza che avrebbero mangiato a merenda.
Molti di quei bambini non mi riconoscono più o forse non mi vedono, presi come sono dallo schermo del telefono, ma io mi ricordo bene di loro e li porto tutti nel cuore.

Ora mio figlio non ha più interesse per Shrek e Dragon Ball, l’automobile la guida davvero e ha capito che i superpoteri, pur non esistendo, sono dentro ognuno di noi.
In tutto questo tempo l’ho sempre osservato, a volte da lontano e spesso da vicino, domandandomi che uomo sarebbe diventato negli anni, influenzato da vicende, amicizie e incontri, che lo avrebbero formato, ma sicuramente non cambiato il suo animo buono, perché quello sta dentro, protetto da tutto: non esce con gli amici, non usa Internet, non si incattivisce con le brutte esperienze, non dà retta alle sciocchezze. A volte si camuffa, tenta di nascondersi dietro un dito, ma sta lì e ci rimarrà per tutta la vita, in fondo a destra, dentro l’anima, svelato dagli occhi.
Ne sono convinta. Per questo non credo nella cattiveria, che è solo un involucro brutto di un animo buono, che ne ha passate tante e ha deciso di indossare un costume per far paura ai nemici. Oppure è una scelta sbagliata, fatta frettolosamente in un momento duro, che con un po’ di fortuna e tanto impegno, può essere rivista e corretta.
Troppo spesso noi adulti ci dimentichiamo non solo di essere stati ragazzi a nostra volta, ma anche di guardare certi giovani spavaldi e un po’ confusi, nello stesso modo in cui guardiamo quelli che sono figli nostri. “Se fosse figlio mio…mio figlio non farebbe mai una cosa del genere!”. Siamo sempre pronti a dare sentenze e a mettere la cornice a un quadro che non abbiamo mai visto.
In una città piccola come la nostra, dove ci si conosce tutti, non c’è bisogno di chiedere: “Di chi si lu fije tu?”, perché lo sappiamo già. Abbiamo visto quei visi, un tempo più rotondi e sereni, ridere, scherzare, contare i doppioni delle figurine e crescere negli anni. Li abbiamo accolti in casa, li abbiamo ringraziati in cuor nostro per ogni istante di quella gioia innocente e vera che hanno condiviso con i nostri figli e quindi con noi. Ci siamo affezionati a loro, nessuno escluso, benché fossero tutti diversi: qualcuno bisognoso di abbracci protettivi, qualcun altro di quelli contenitivi. Siamo stati tentati di intervenire nei mille litigi, ma ci siamo limitati a dare un consiglio e a insegnare l’empatia. Eravamo innamorati persino del chiasso che riuscivano a fare tutti insieme in un pomeriggio di gioco: ce ne accorgiamo solo adesso che quell’allegra confusione sono i figli degli altri a farla, mentre i nostri chissà dove sono, con le loro auto, le loro barbe e i loro pensieri già adulti.
Li abbiamo visti, sempre a debita distanza, inseguire un pallone e poi le ragazze, combattere nei videogiochi e poi contro i brufoli, festeggiare i sei anni e poi la maggiore età.
Li abbiamo sentiti un po’ tutti figli nostri, perché le risate, l’entusiasmo, l’innocenza e i sogni dei bambini sono tutti uguali. Ci è un po’ dispiaciuto quando hanno preso altre strade, smettendo di frequentare le nostre case e i nostri figli, anche perché era la dimostrazione concreta del tempo che passa in fretta e ci porta via delle certezze, come quella di sapere i nostri ragazzi nella loro camera, con gli amici fidati, a mangiare merendine, sfidandosi a “Pro evolution soccer”, mentre a noi giungevano le risate e le esclamazioni di esagerato entusiasmo, che fingevamo di non sentire.
È per questo che continuo ad avere fiducia nel futuro, nonostante le notizie riportate dai telegiornali. Il futuro sarà nelle mani dei miei figli, dei loro amici e di tutti i ragazzi come loro, che ho imparato a conoscere nei pregi e nei difetti, nelle singole timidezze e paure, nella sicura sfacciataggine del branco, nella rabbia per un’ingiustizia subita, nella gioia per una vittoria sudata, nella bugia non recitata bene e nella verità confidata a un diario chiuso, ma mai abbastanza, a chiave.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

2 Commenti su "Amarcord"

  1. Complimenti

  2. Raffaella,riesci sempre a farmi ridere o,come questa volta,a commuovermi.

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