Andremo in pace

I nostri figli sono la generazione cresciuta durante la grande recessione, in anni duri e grigi, permeati da pessimismo e negatività.
Ricordiamocelo quando perdiamo la pazienza con loro perché necessitano più del wi-fi che di ossigeno o per il modo trasandato che hanno di fare le cose.
Poverini: si sono fatti grandi tra sacrifici e rinunce, sono riusciti a sorridere e a giocare felici, nonostante le ristrettezze e le privazio…

Oddio, a guardarli meglio, tutti con gli smartphone in mano, le griffe addosso e i viaggi condivisi con il mondo, non parrebbe.
Io sono nata nel 1971, in pieno boom economico, eppure ho indossato fino all’adolescenza i vestiti smessi di mio fratello, compresi i pantaloni marroni di velluto a coste.
Non sono mai stata premiata per un voto alto, per l’avvento del menarca o per essere diventata maggiorenne. Erano tutti accadimenti naturali, che venivano accolti e accettati senza particolare enfasi o fuochi artificiali.
I doni più costosi li ricevevo solo a Natale e al compleanno, ma niente di paragonabile a quello che i nostri figli trovano nei loro pacchi regalo. Poi c’erano gli omaggi occulti: i famosi denari, messi da parte per il futuro da parenti lungimiranti, che non potevano essere spesi al momento per oggetti futili.
Allora era tutto più stabile e concreto, non c’erano i negozietti “tutto a un euro” di robetta scadente, che appaga al momento e dura il tempo di una risata: giocattoli e abiti si pagavano a prezzo pieno, la plastica era resistente, la lana vergine, il cotone puro e gli strappi sui blue jeans si coprivano con le toppe, altro che cosce al vento e natiche in bella vista.
Ma soprattutto si dava un valore diverso alle cose, che finalmente potevano essere acquistate e non venivano buttate solo perché fuori moda o perché il figlio successivo era di sesso diverso per poterle usare.
Eppure non c’era la crisi: né dei valori, né di coppia, né di principi, né economica, né isterica.
Le nostre madri e i nostri padri vennero al mondo durante la povertà del periodo postbellico. Alla nascita ricevettero dai genitori l’augurio più bello che si possa fare a un figlio: -Che tu non possa mai vedere la guerra.
Avevano visto ricostruire, costruire, investire e inventare.
Si erano strabiliati con la prima televisione, il frigorifero, la lavatrice, i Beatles e la Fiat 500.
Avevano trovato un lavoro a vent’anni e avevano messo su famiglia.
Ci hanno cresciuti in tranquillità, nella semplicità e nella serenità,
viziandoci giusto un po’. Quel po’ che è bastato per farci sentire sicuri, sazi, al caldo e fortunati.
Quando ci vantiamo con le nuove generazioni di come fossero migliori, rispetto agli attuali, gli anni che ci hanno visti bambini, nell’elenco delle cose belle, oltre alle partite all’aperto con il pallone Super Santos, i diari segreti, Goldrake e i ghiaccioli da cento lire, mettiamoci pure dei genitori sereni e stabili, che ci proteggevano da ogni tipo di crisi. I nostri ragazzi, grazie al cielo, hanno guance rosee, case calde, bei vestiti e accessori di lusso.
Con incastri quasi magici e spesso evitabili, riusciamo a non privarli di niente, soprattutto del superfluo. Forse tendiamo a premiarli per essere cresciuti belli e forti, nonostante la crisi di nervi di noi adulti, che non sempre abbiamo saputo, potuto e voluto nascondere quella economica.
O forse li forniamo di ogni optional, perché vederli così felici per una scarpa alla moda, ci ripaga di tante notti passate insonni a trovare una soluzione.
Completamente avviluppati da problemi e preoccupazioni, siamo diventati cupi, pessimisti, insicuri, negativi, demotivati e vulnerabili.
Ci siamo fatti vedere così dai nostri figli.
E, siccome a noi delle scarpe alla moda non ce ne importa niente, le abbiamo comprate a loro.
Gli anni però sono passati e, fra poco, toccherà ai giovani di questa nuova generazione approcciarsi al mondo del lavoro e capire quanto vale -e soprattutto se vale davvero- ciò che calzano ai piedi, tengono in mano e indossano il sabato sera.
E un giorno, chissà, un’edizione straordinaria del telegiornale declamerà:
-La crisi è finita, andate in pace.
Quel giorno ci affacceremo alla finestra e sarà tutto bellissimo.
Allora torneremo sui prati a tirare calci al Super Santos, con gli amici di nuovo al nostro fianco e non impigliati in una rete di gigabit.

gRaffa
Raffaella Di Girolamo

1 Commento su "Andremo in pace"

  1. “.. Impigliati in una rete di gigabit…”
    Top!!!!

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