Araba Fenice, 15 rinvii a giudizio

Come un’Araba Fenice erano risorti dopo l’inchiesta del Piccolo Colosseo (conclusasi poco tempo fa in primo grado): un “volo”, che per molti di loro, a dire il vero, non si è mai arrestato.

Sulle pagine di cronaca giudiziaria ormai da un decennio, il “Romanzo criminale” in salsa peligna, scrive oggi un’altra pagina del capitolo droga.

In quindici, oggi, sono stati rinviati a giudizio con le accuse di spaccio di stupefacenti e tentata estorsione: tra loro molti nomi che si ripetono negli anni nelle cronache di arresti e retate. Un “vizietto” diventato business che, alcuni, non hanno mai abbandonato.

La giudice Marta Sarnelli, oggi, ha tagliato corto, rigettando le proposte di patteggiamento e di rito abbreviato che alcuni degli imputati avevano fatto, e rinviando tutti a giudizio davanti al collegio del tribunale di Sulmona il prossimo 14 febbraio.

Sentilliano Hallulli, Massimiliano Le Donne (latitante da oltre due anni e deus ex machina del gruppo), Domeniko Elezi, Eduardo Bighencomer, Andrea La Civita, Francesco Tirimacco, Eraldo Goga, Lorenzo Saraceno, Salvatore Moreci, Umberto Di Pillo, Angela Di Pillo, Fabio Santavenere, Alessio Esposito e Gianni Gigante: questi i nomi rimasti a giudizio nell’operazione Araba Fenice che venne condotta dai carabinieri tra il 2015 e il 2016 e che si concluse con un’ordinanza di custodia cautelare per otto persone. Diciannove indagati in tutto, alcuni dei quali, i pesci più piccoli, hanno scelto pene alternative, potendo.

Pene non compatibili con la gravità delle accuse mosse agli altri: i “gladiatori” del Piccolo Colosseo si erano infatti in gran parte riorganizzati dopo qualche anno, prendendo il controllo, quasi a monopolio, di tutto il mercato della droga in Valle Peligna.

Hascisc, cocaina, eroina, ecstacy, metanfetamine: i carabinieri solo nel biennio di indagini ne avevano sequestrati chili e chili, oltre al denaro: 75mila euro che Gianni Gigante, operatore ecologico, conservava nel congelatore di casa. Come fossero sofficini.

Forti dell’esperienza passata, però, stavolta si erano organizzati: attenti alle intercettazioni, pronti a sborsare migliaia di euro per farsi bonificare la casa da eventuali microspie, forniti di decine di telefoni e schede “vergini” e ancora di disturbatori di frequenza (i cosiddetti jammer) e pronti, soprattutto, a far valere i loro crediti, con spedizioni punitive e minacce a chi non pagava.

Ora il conto lo presenta la giustizia.

2 Commenti su "Araba Fenice, 15 rinvii a giudizio"

  1. deus ex machina significa altro meh

  2. L’articolo contiene molte imprecisioni, non si può rifiutare la richiesta di rito abbreviato o meglio non si può rifiutare per questi reati

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