
Giorni insanguinati, mesi di proiettili e pazzia. Rabbia e freddezza, bollette non pagate, salate. Senza mascherine siamo andati in riva al mare per arrivare abbronzati alle elezioni. Disertare i seggi per non esser coinvolti. Diventare complici. Fare la croce sul segno conoscendo il vincitore. Come sarebbero finiti i perdenti, bonus centodieci, il reddito di cittadinanza e grigie primarie del Partito Democratico. Gasdotto, la monnezza del Cogesa e capitale della Cultura. Confuso aggressore con la vittima. Il provocatore per martire. Pensato attori vivi dei morti imbustati. Negato l’orrore, non visto i missili che spaccavano il cielo. Armato un eroe in mimetica che ci sta sulle palle. Tifato senza urlare un boia criminale e spione. Ingolfato dispense d’olio di semi di girasole, pasta di grano duro e carta igienica soffice soffice. Imboscato auto in garage col serbatoio pieno di benzina con tutte le accise.
Credevamo sarebbe finita in un lampo, fatto combattere altri con i nostri fucili, andati in processione a Kiev, telefonato a Mosca, ospitato fuggiaschi biondi, respinti quelli con la faccia nera. Agitato i sette colori delle bandiere di pace che non hanno soffocato la battaglia. Eppure i nostri padri ci hanno insegnato che la guerra ammazza tutti, bambini e nonni, madri e soldati. Anche noi che da un anno siamo con il culo sul divano. Con il maledetto telecomando in mano.
I primi scoppi a Odessa, all’alba buia del 24 febbraio. Quello passato. Mandati in pensione Covid e virologi, abbiamo conosciuto la Zeta verniciata di Vladimir Putin, la prepotenza dei tank russi in colonna per chilometri. L’orgoglio, il terrore e il coraggio degli ucraini, nascosti come topi nei labirinti della metropolitana di Volodymyr Zelens’kyj. Le fughe a piedi di bimbi e donne verso le frontiere polacche e romene. La lugubre voce delle sirene che annunciava l’arrivo delle granate, il suono dell’angosciante Radio Londra, giornalisti con elmetto e microfono. Terre lontane quelle del Donbass, anche se lì si spara da quasi due lustri. Ma ora la paura è nel cuore dell’Europa. L’abitudine, uscita dalla finestra e risalita per le scale, ha lasciato campo libero alla propaganda, facendo perdere il numero dei morti sul campo. Con e senza divisa c’è già chi ne conta quasi trecentomila.
Domani nel cuore antico di Sulmona, all’ora del mercato, dalle undici a mezz’ora dopo mezzogiorno, fronte la fontana del Vecchio, presidio di Europe for Peace. Per chiedere che si fermi finalmente questo scempio senza fine. Servirà forse a poco, ma sarà sempre meglio che restare a casa davanti alla tivvù. Aspettando la bomba.
Dylan Tardioli
Lettura lucida e profonda del nostro mondo
Ma chi sei, la moglie?
Gelosia?
Mi raccomando, invece di negoziare e trattare, si continui a mandare armi al presidente cabarettista pseudo attore. Non vince chi ce l’ha più grande. Bisogna negoziare. Nel frattempo si continui a comprare gas trasportato su navi dal vecchio zio sam. Poi Trump era quello additato come guerrafondaio. Poveri illusi
Chi sei il cugino di Putin?
Sono uno che non crede a quello che propinano i media di massa. Aprite gli occhi
Negoziare con la terra degli altri è facile. Domani mi prendo il tuo garage e poi negoziamo.
Ma che dici? Occupo prima anche la tua casa e poi negoziamo.
Tanto tu sei un cabarettista e puoi dormire fuori!
… esattamente… per togliersi ogni dubbio comunque basta seguire le dichiarazioni di Maria Zacharova e Dmitrij Peskov… o seguire il programma Tv di Vladimir Solovyov…
E perché il gas lo dovremmo comperare al tuo amico Putin?
Non mi sembra che ora che abbiamo ridotti gli approvvigionamenti dalla Russia ci sia una crisi energetica.