Capograssi, Gadda e Case Pente

Lo sentii al telefono. L’ultima volta. Mi parlò con il tono del maestro a cazzeggio, al quale interessava se l’allievo aveva capito. Non studiato. Cercava articoli sepolti tra la polvere e l’inchiostro su carta da giornale. Non feci a tempo a scovarli, né a bruciare con lui l’ottantesima sigaretta. Sparì troppo in fretta a luglio. Oggi, dieci anni fa.

Sulla costa Giuseppe Papponetti non era un bagnante, ma un intellettuale con l’occhio lucido, critico e filologo accolto con rispetto. Edoardo Tiboni lo piazzò tra i giudici del Flaiano. A Pescara, per tre decenni, sgobbò nel centro studi Crociani e in quello del Vate. Collaborò con Ivanos Ciani a cucire due documentari. In Abruzzo e in Grecia. A Roma entrò anche a palazzo Chigi dall’uscio principale, quando la presidenza del Consiglio dei Ministri gli appuntò una medaglia in petto per aver scritto Gadda, D’Annunzio e il lavoro italiano. Duecentocinquanta titoli pubblicati, studi storici e letterari. Incroci, combattimenti con poeti e narratori. Non si tirò indietro per celebrare un suo paesano, Giuseppe Bolino, politico di razza.

A casa è stato per tutti il professore del Classico di piazza Venti, diverso e fumatore seriale. Figlio di sarto sempre in giacca e cravatta. Lauretano doc, innamorato più della pasqua che della giostra. Ma ancor più mente del premio di diritto Capograssi. Anima della fondazione che supporta il pensiero del filosofo Giuseppe, sua passione almeno alla pari con la penna dell’ingegnere meneghino Carlo Emilio. Per ventott’anni smerciò il marchio biancorosso fuori dalle mura, fino a quando, stanco e stufo di scazzarsi con i mulini a vento, strappò con palazzo san Francesco. Con Sulmona. Regalando gli spicci ricevuti ai cani abbandonati e piazzando, come sfregio, la residenza a Santo Stefano di Sessanio. Borgo arroccato, buen retiro estivo suo e della moglie, che da tempo lo aveva lasciato solo a tirar su per bene due ragazzi.

Lo scorgevi qualche volta in Garibaldi, dove ferito e rassegnato guardava sbieco il Fontanone. Amava perdutamente la sua terra, ma da duro cococciaro dalla lingua biforcuta e fulminante gli sembrava ormai d’esser accomodato in una frazione. In un posto fuori tempo. Marginale e periferico. Come fosse seduto Alle Case Pente, l’agglomerato di tetti all’ombra dei cipressi che aveva regalato il nome a una minuscola editrice fai da te. Era spiritoso Pino. Divertente. Pungente e incazzoso. Profondo. Leggero come un fiocco di pioppo: aveva insegnato al suo compare a quattro zampe a detestare insetti e lombrichi. Soprattutto a non dimenticare. Mai. Perché quando arriva il giorno dell’onore, l’importante non è il ricordo. Ma soltanto la memoria.

Dylan Tardioli

3 Commenti su "Capograssi, Gadda e Case Pente"

  1. Massimo Di Stefano | 8 Luglio 2022 at 08:55 | Rispondi

    Complimenti per l’articolo. Belle e vere parole per il “professor Papponetti”, mio docente di lingua italiana al “classico” nella fine degli anni ’70.
    A Sulmona lo ricordiamo ancora con affetto ed ammirazione. Lo avrei eletto sindaco, presidente della regione, del consiglio dei ministri e della Repubblica…quattro cariche contemporaneamente.
    Grande uomo.

  2. Giseppe Papponetti, era un uomo semplice, molto legato alla città natale, amante della compagnia allegra. Aveva arguzia e spirito do osservazione fin da ragazzetto con i pantaloni corti. Un amico a cui non si poteva dire di no, quando ti chiedeva umilmente un aiuto per ciò che aveva in mente di realizzare. Forse la provincia lo penalizzato non poco, anche se il suo sapere è stato apprezzato e riconosciuto in ogni luogo, sia a livello regionale che nazionale. Grande, grande uomo e amatissimo insegnante. CIAO PINO RARRAI SEMPRE NEI NOSTRI CUORI

  3. Rosso Secondo | 8 Luglio 2022 at 14:23 | Rispondi

    Pino Papponetti è stato un grande.
    Il suo amore per la terra dei Peligni e per lo studio della storia e delle opere dei migliori fra i suoi abitanti è stato immenso, fino a quando, sentendosi incompreso ed anche ostacolato nella produzione e nella prosecuzione dei diversi progetti culturali da lui ideati, decise di tagliare ogni legame con le istituzioni e la comunità del Centro Abruzzo.
    L’esilio sociale da lui scelto nella parte conclusiva della sua vita ha arrecato tanto dolore a lui ed a tutti coloro che conoscevano ed apprezzavano la sua sensibilità e la sua spiccata e poliedrica intelligenza.
    Per questo a distanza di 10 anni dalla sua scomparsa il vuoto da lui lasciato è ancora tanto grande.

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