C’è un’altra

Pensare il perduto, pensare quel che è andato perduto, pensare quel che di sé si è perduto. Tutto questo non riguarda la possibilità di salvare qualcosa e nemmeno significa allontanare l’idea della propria morte; significa invece possedere, come approfondito nel sentimento delle proprie consistenze, il senso del proprio finire, della propria finitudine. Significa attingere alla parola, e alla parola affidare, l’etimologia impronunciata di ogni accadere, di un sorgere come di un tramontare. Come se tutti si fosse (come si è) qualcosa che altri, o il fato, giunto il momento, possono sottrarre, e sottraggono, al mondo. 

Questo minuto e minimo sapere è la massima delusione del vivere, ma è anche la massima consapevolezza dell’esistere: a un certo punto si è tolti, a un certo punto qualcosa viene tolto; a un certo punto si svanisce, a un certo punto si accetta di veder svanire le cose, i profili, i momenti. Essere, dunque, più o meno sempre, tra i muri perimetrali di ciò che è assenza, di ciò che è divenuto assenza, di ciò che diverrà assenza. 

Allora che cosa si potrà dire dell’anima più segreta di un libro come C’è un’altra di Carola Susani (Marietti 1820)? Forse soltanto questo: che è un canto sulla solitudine del cercarsi in ogni presente, del cercarsi in ogni presenza. Anche quando non hanno corpo, le presenze possono avere una corporeità: è la corporeità immateriale del nostro pensarle, del nostro ricrearle ogni volta, non troppo diversamente da come ricreiamo noi stessi

(“C’è un’altra / che mi cammina accanto / e non è vera, / è la sua vita segreta / che racconto, mica la mia / che non ha mistero”). 

Siamo, con C’è un’altra, su di un violino con due sole corde: l’una è quella della vita che si sa più o meno cos’è, l’altra è quella della vita che invece, semplicemente, non si sa cos’è:

“Pensarle vive / è un esercizio / di cui si perderà memoria / perciò le penso adesso / come per fare scorta”.

Eccola qui la “musica distante” che sempre ci accompagna. 

C’è un’altra è un libro esile e delicato, fatto di versi sottili e lucenti: sottili e lucenti e anche fortissimi, perché riescono a parlare di temi fondanti e cruciali nella vita di tutti. Al di là di quel che più espressamente se ne può cogliere, al di là di quel che più esplicitamente consegnano al lettore, le poesie di C’è un’altra parlano sempre del nostro essere continuamente residuali rispetto a qualcosa che siamo e che siamo stati, rispetto a qualcosa che ci è appartenuto o rispetto a qualcosa che abitavamo; e le domande di fondo a cui questi versi ci avvicinano sono sostanzialmente due: che cosa perdiamo di noi? Che cosa perdiamo degli altri? Sta in queste pagine di Carola Susani tutta la grazia di quel che è indifeso, perché ascoltare la vita significa anche accettarla attraverso un sentimento aperto e arreso.

Simone Gambacorta

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