Come prima

Suvvia, siamo sinceri: non è vero che non ce lo aspettavamo. Volevamo semplicemente andare in ferie da tutto questo, tornando a vivere per un po’ come ai vecchi tempi. Sarebbe stato assurdo fare le vacanze allontanandosi dallo stress quotidiano, senza riposarsi anche da regole, imposizioni, restrizioni e abluzioni.
Questa sorta di ritorno al passato è stato sicuramente facilitato da articoli, apparsi qua e là, che parlavano di un virus indebolito o, addirittura, clinicamente morto.
E invece, al contrario di noi, il Covid non si stanca e non ha avuto bisogno della pausa estiva: il suo obiettivo è quello di infettare tutte le persone che incontra per garantirsi la sopravvivenza, senza guardare in faccia a nessuno o chiudere un occhio di fronte a certe comitive particolarmente simpatiche.
E così, come in una noiosa partita al “Gioco dell’oca”, siamo tornati indietro di venti caselle, con un nuovo picco di contagi, mascherina obbligatoria per tutto il giorno, niente feste e coprifuoco per bar, gelaterie et cetera.
Per mia fortuna sono in un’età che mi ha permesso di non patire molte delle limitazioni imposte: mi sto affezionando persino alla mascherina, che supporta la mia timidezza e cela qualche “vaffa” sussurrato in determinati contesti. Dei gel disinfettanti mi piace l’odore e la distanza sociale, a pensarci bene, l’ho sempre praticata.
A una cosa, però, non sono riuscita ad abituarmi in questi mesi: all’aria rancorosa che si respira in giro e dalla quale la mascherina non riesce a proteggermi. Già prima di marzo non eravamo in una situazione facile, perché quando le cose non vanno bene, la tranquillità è solo una chimera e se le poche persone che dettano le regole non si mettono nei panni della moltitudine che poi dovrà rispettarle, frustrazione e rabbia saranno le uniche cose che si otterranno.
Da sei mesi ci chiedono di avere pazienza, ma noi venivamo già da un tempo di sopportazione, in cui ci domandavamo quotidianamente quando la crisi sarebbe finita e le cose avrebbero iniziato ad andare meglio…e invece: “salta due turni, torna al via, disinfetta tutto e stai in quarantena”.
A me questa estate non è mancata la vacanza, ma il lavoro da cui prendermi una vacanza. Mi è mancato poter spendere un po’ di euro nei negozi della zona, facendo qualche affare durante i saldi.
Mi è mancata quella parte leggera della vita che affolla il tempo libero di pensieri futili e chiacchiere allegre, facendoci fare scorta di una positività, da cui poter attingere nei momenti più difficili.
Durante i primi mesi di questa “era Covid”, gli slogan governativi mi hanno molto commosso. Come eravamo belli sui balconi! Avevo fiducia in tutto: nelle virtù intellettuali, in quelle cardinali e pure in quelle spirituali dell’umanità.
Poi mi è passata. Ho cominciato a temere il domani, perché la mente andava sempre lì, col pudore disperato con cui si pensa alle cose materiali in un momento poco opportuno, mentre a tutti gli altri sembrava bastare un ‘“Insieme ce la faremo”, con il quale io, invece, non riuscivo a pagare i conti.
E mentre tutto si fermava, poi qualcosa ripartiva e poi di nuovo tutto fermo per un paio di settimane o da un determinato orario, io mi guardavo intorno e avevo paura. Una paura nuova, perché non riguardava solo il mio piccolo mondo, ma la vita di tutti.
Non ho mai creduto alla cosa del “mal comune, mezzo gaudio”: io ho sempre temuto il mal comune. Preferisco il bene comune, che mi contagia, mi rassicura e mi fa sperare che prima o poi la ruota possa girare anche per me.
Vorrei che tornasse tutto come prima, anzi, più di prima: prima del 2008. Altro che mezzo gaudio.
Ma temo che questo mio desiderio rimarrà irrealizzato e continuerò a vivere nella certezza dell’incertezza, nascondendo la mia faccia preoccupata dietro la mascherina, che mi tiene caldo, mi fa prudere il naso, mi appanna gli occhiali, mi rovina il trucco, mi protegge dal contagio ed è l’unica risposta concreta che posso dare a quell’ “L’Italia chiamò” che, a marzo, cantavo commossa sul balcone.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

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