Costretta a non fare nulla a lavoro, demansionata e vittima di straining, che in gergo giuridico è una forma di mobbing attenuata. Per questo una ex infermiera dell’ospedale di Sulmona ha ottenuto dal giudice del Lavoro, Alessandra De Marco, il riconoscimento di un risarcimento di 150mila euro, oltre al rimborso delle spese legali sostenute.
La storia sfata le leggende sul “posto fisso” e sulla presunta indolenza dei dipendenti pubblici, perché la lavoratrice ha chiesto ed ottenuto giustizia perché costretta dai suoi superiori a non fare nulla per circa un anno e mezzo.
La storia inizia nel 2015 quando l’infermiera è costretta a mettersi in malattia a causa di una patologia che le impediva di svolgere le proprie mansioni da infermiera di corsia: non riusciva insomma a compiere le normali attività ed i turni, anche notturni, che il suo lavoro richiedeva.
Per questo si era rivolta al Collegio medico locale chiedendo di essere ritenuta non più idonea a quella mansione e quindi di essere trasferita ad altro ufficio. Il Collegio, però, le negò l’esonero e, non potendo rientrare a lavoro a svolgere la sua attività, l’infermiera si vide prima ridurre lo stipendio e poi costretta a mettersi in malattia non retribuita.
Nel dicembre 2017 la Commissione medica interforze di Roma, dopo due anni di assenza forzata dal lavoro, le riconosce la non inidoneità all’attività di infermiera e per questo a gennaio 2018 la Asl la reinquadra come coadiutore amministrativo.
Un ruolo assegnato però solo sulla carta, perché una volta negli uffici della Direzione sanitaria alla donna non viene assegnato alcun compito. Confinata su una sedia in ufficio senza attività da svolgere, tanto da cadere in depressione.
Così fino alla pensione nel 2019: una volta in quiescenza la donna si rivolge quindi ad un avvocato, Domenico Ciancarelli, che porta le carte in tribunale ottenendo ora un risarcimento importante: per l’insorgere della malattia psichica, per gli stipendi decurtati e per quelli a cui, in aspettativa non retribuita, era stata costretta a rinunciare. Ma anche per aver subito un demansionamento che l’ha costretta a interpretare, suo malgrado, lo “Zalone” di turno.
Un ambiente orribile dove accade di tutto. E il sistema delle raccomandazioni impera.
Perché a pagare deve essere la ASL intesa come figura giuridica con soldi dei contribuenti e non chi ha permesso questo individuabile con un nome ed un cognome?
👍
Il lavoro non si crea. Se viene riutilizzato forzatamente un operativo nell’amministrazione, perché non più idoneo a svolgere attività operativa, non è detto che abbia lo skill per svolgere la nuova attività, specialmente se datato, alla soglia della pensione.