
Era il tempo del Gran Caffè dalla tappezzeria damascata, dagli arredi in legno e del sapore di storia e antico, prima del grande rinnovamento-rovinamento post moderno. Era l’altro secolo quando, nel 1997, il gestore del locale, Gaetano Lepore, segnalò al Comune le criticità del tetto, le continue infiltrazioni a cui si doveva porre rimedio.
Poi, nell’agosto del 2000, un nubifragio trasformò quegli avvertimenti in presagi: l’acqua penetrò dal tetto e fece crollare parti consistenti delle controsoffittatura, provocando danni notevoli ai laboratori, alla gelateria, agli spogliatoi e ai bagni del locale. Il Gran Caffè rimase chiuso una settimana di seguito e poi per anni non potè utilizzare una parte dei locali.

Nell’aprile del 2017 la sentenza definitiva, con la condanna del Comune a pagare i danni: circa 120mila euro diventati nel frattempo, tra interessi di mora e spese legali, oltre 142mila euro.
Perché delle sentenze, del precetto e perfino del pignoramento, il Comune se ne è sempre disinteressato, tanto da costringere la parte a ricorrere ad un’azione esecutiva.
Il tribunale ha riconosciuto così un risarcimento di oltre 111mila euro come parte dei canoni di affitto versati tra il 1997 e il 2008 e poi i danni materiali alle attrezzature, alla merce e i mancati guadagni.
Una storia di ordinaria follia burocratica, conclusasi dopo due decenni, con gli imprenditori costretti ad attendere gli elefanti del Palazzo.
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