Demi

Comincia così.

Il 36% dei seggi viene assegnato con un sistema maggioritario basato su collegi uninominali.

E fin qui ci siamo – sebbene resti il dubbio di quel 36, perchè non un 40 tondo, un 30 o almeno un terzo preciso che sarebbe 33 -; 231 seggi alla Camera e 116 al Senato verranno assegnati ai candidati che la coalizione ha scelto per il suo elettore, che hanno preso più voti.

Ma.

Il 64% dei seggi invece viene assegnato con criteri proporzionali.

E qui già diventa più difficile, tocca andarsi a rispolverare i criteri proporzionali. Che non sono univocamente e facilmente recuperabili perchè, fatto salvo il principio – i seggi in parlamento determinati in proporzione ai voti presi dalle singole liste (e già non dalle coalizioni)–, addentrandosi nel meccanismo, si dipana un ginepraio di variabili, statistiche e precisazioni che anche la mente più analitica stenta a decifrare.

Dal numero dei collegi, ovviamente diversi fra proprorzionale e maggioritario e fra camera e senato, e rimandati al governo che dovrà decidere, alle preferenze che l’elettore può esprimere, unica imposta nel maggioritario, non più di 4 candidati per lista (non per coalizione) nel proporzionale, e comunque dettati dai partiti, ci si aggiungono i seggi delle regioni speciali e i voti all’estero.

A complicare – o a semplificare, a seconda dei punti di vista- lo scenario, parità di quote di genere e niente voto disgiunto: se ne produrranno – dicono gli esperti, non si sa bene in base a quale deduzione statistica- una pluralità di microliste che rendono più complesse le previsioni.

Lo sbarramento poi, terrà a bada i partitini minori che di solito rompono le balle, senza però che la soglia, già diversa nei due sistemi, sia significativa.

Tutto un pò, ma anche.

 

Tutto chiaro?

 

A seguire l’intenso appassionato dibattito nelle stanze del potere, nei media e sui social, parrebbe di si. E’ tutto un pullulare di indignazioni, reprimende, segnali di allarme, grida al complotto, elucubrazioni dietrologiche ed enumerazioni di interessi particolari, apparentemente imprescrutabili.

Intanto, frettolosamente spedita al Parlamento e privata di un vero dibattito in aula, frutto di accordo – si vocifera – nemmeno tanto sottobanco fra partiti maggiori per penalizzarne altri già scesi in piazza per l’opportuna quanto striminzita protesta, a distanza di una legislatura dalla legge precedente già dichiarata incostituzionale, è nata la Rosatellum.

Né bianca, né rossa ma frizzante già nella denominazione, nasce la prima legge elettorale con le bollicine, per un’apericena nazionale in cui mangi mangi senza saper raccontare alla fine che cosa hai ingurgitato.

 

 

All’elettore qualunque, esperto di politica quel tanto che basterebbe per mettere una croce su un simbolo che avrebbe diritto forse ad una legge elettorale comprensibile come una torta da ridividersi con i commensali, resta l’imbambolimento, condito dal senso di inferiorità di sentirsi confuso nel  giudizio, a quanto pare imprenscindibile, nel gossip generale.

Unica certezza,  il Rosatellum è un misto.

Come dire, esperiti  i sistemi possibili che non hanno garantito governabilità, vagliati attentamente i sistemi stranieri ai quali tentare disperatamente di somigliare non senza un certo senso di inferiorità genetica, – nonostante neanche questi abbiano prodotto ultimamente parlamenti invidiabili-, palleggiandoci maggioritari tedeschi su letti di brucola alla francese conditi di puntarelle spagnole, abbiamo optato per un pot pourri di ricette regionali.

La Virtus che, da che c’è l’Italia, sta sempre  in quel benedetto medio che è la nostra condanna, ha garantito l’evoluzione della piccola vecchia borghesia industriale spalmatasi sul soutè di precariato urbano e rurale: un’impiattata di poveri ma bio che galleggiano nel brodo che perfino i delinquenti definiscono di mezzo, a mantenere l’apparente ordine sociale senza escandescenze preoccupanti.

 

Ma allora perché addannarsi a esperire previsioni, perché indignarsi per nazzareni e antigrillismi, a che scopo affaticarsi a svelare l’arcano disegno strategico che il potere nasconde se a conti fatti l’unica reale certezza è che questo Rosatellum non produrrà alcuna maggioranza, alcuna stabilità, alcun governo. E’ solo la legge del Paese che sta, che nel destino di medietas che si è prefigurato avvera l’antica profezia che voleva morissimo tutti come siamo nati, demo-qualcosa, anzi demo-dituttounpò.

Se non siamo all’altezza di un vero per quanto già ritardatario basta così, la voce grossa di chi già da tempo avverte l’insopportabile olezzo del consociativismo spammato e stantio, cessiamola con questo frignio di cicale e godiamoci quel che meritiamo, quel demi-sec del frizzante rosatello che non impegna e non distrae e friccica un po’ anche nel palato meno esigente.

 

Antonio Pizzola

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