
Ventitré marce, un quarto di secolo sulle spalle e ottant’anni della Liberazione da celebrare. Fare i conti con i numeri, a una certa età, spaventa, ma il segreto per restare cool è nell’animo. Perché il Venticinque aprile, sobrio o meno, attrae e ammalia. Le storie dei partigiani incantano e seducono chi le racconta e chi le ascolta. Benzina per le gambe: seicento all’incirca quelle che da via XXV aprile si sono messe in moto per arrivare fino a Casoli, nell’edizione terminata ieri del Freedom Trail. E non è scontato durante il lungo ponte, dove i più giovani, quelli che la storia continuano a studiarla tra i banchi di scuola, scelgono la fatica e il passo cadenzato della montagna invece di ricaricare le batterie per il rush finale di maggio. I visi sono nuovi, tutti o quasi. Qualcuno timbra per la prima volta il cartellino sui sessanta chilometri della libertà. Altri ritornano per scavallare di nuovo la Gustav. Il percorso è lo stesso, seppur mutilato del Guado di Coccia, che sbuffa come un comignolo con nuvole nere che lo circondano; infestato come un maniero.

Noi su quei ciottoli, su quelle strade di storia, fango e piombo, abbiamo provato a trasportarvi. Il diario di bordo strapazzato nella giacca sgualcita del partigiano è diventato un Reel. O meglio tre, uno per ogni tappa; uno con il suo nucleo tematico con il sudore della marcia a far da cornice. Montati a fine tragitto, come si selezionano gli appunti di guerra in trincea. Per fortuna non c’è da raccontare di fuoco incrociato, né di compagni da piangere. Ci sono le parole di Cesare, Leonardo, Valentina, Antonietta, Beatrice, Alfonso e Francesca, che sul palcoscenico della vita recitano ancora il ruolo di alunni. C’è Melissa, che quella parte l’ha interpretata fino allo scorso anno, e sul sentiero, da maturanda, è tornata matura. Loro sono la speranza più grande che possa esserci. Ci sono le testimonianze delle professoresse Petrucci e Sarno. C’è l’opinione di un militare in pensione. C’è il vecchio e il nuovo Freedom Trail, con Adelaide Strizzi e il neo-presidente dell’associazione, Graziano Litigante. Una tavolozza di pensieri, dei giovani e dei più esperti, sul perché siamo in marcia, sul valore della libertà e su ciò che questi sessanta chilometri insegnano dentro ognuno. Ciò che lasciano le storie dei personaggi incrociati lungo il cammino: Ettore De Corti, Oscar Fuà e Donato Ricchiuti. Loro che la guerra l’hanno combattuta, ma che non sanno come sia finita. Non sanno che quel buio, quel mantello di oscurità e barbarie è stato squarciato grazie a loro. E che mai verrà ricucito, fino a quando la staffetta del ricordo prosegue sui monti d’Abruzzo e non solo. La staffetta simile a quella che fece Iride Imperioli, con Roma e il Vaticano.



Queste le storie nelle orecchie, con la pioggia a far da sottofondo fino a Palena. Intensa, fastidiosa, capace di sopire la fiamma della traversata ma mai di spegnerla. Anton Čechov diceva di mostrare invece di raccontare. Lo facciamo con i tre Reel, per chi se li fosse persi, e con le parole di Graziano Litigante, che dipingono con schizzi di sillabe una tela di sessanta chilometri: “Questa marcia mi lascia il sorriso stanco delle persone che hanno camminato con noi questi tre giorni”. Show don’t tell.
I nostri reel
Valerio Di Fonso
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