Donne e lavoro, che stress

Si sta male psicologicamente per cause estranee al mondo del lavoro, ma si deve andare in ogni caso a lavorare. Oppure si sta male mentalmente per motivi che c’entrano col mondo del lavoro però non si può rischiare di perdere l’occupazione. In entrambi casi, questo tipo di disagio, al contrario di quello provocato da malattie fisiche o infortuni, spesso non viene condiviso dal lavoratore con gli altri colleghi: in media, un italiano su quattro non lo dice a nessuno, né in ufficio né in fabbrica.

Il mondo del lavoro è stato per molto tempo declinato al maschile e le problematiche legate alle differenze tra uomini e donne, in quest’ambito, sono state lungamente trascurate. L’attenzione alle lavoratrici è stata circoscritta alla sola maternità, prevedendo misure di tutela particolari rivolte, esclusivamente, alla donna in gravidanza e allattamento. Nel corso degli anni le politiche e le azioni comunitarie sono, tuttavia, diventate sempre più attente a considerare la variabile di genere, e si è registrato un cospicuo aumento dell’interesse per le differenze di genere coinvolte nello stress lavoro-correlato

Lo stress lavoro-correlato in ottica di genere resta comunque una concezione innovativa.

Il disagio femminile sul lavoro può avere diversi volti. 

Può essere il disagio di chi è riuscita ad avere molte soddisfazioni professionali e sta facendo carriera ma in questo successo lavorativo sente di sacrificare una parte di sé.

Il disagio femminile sul lavoro può essere anche quello di sentirsi incompresa dai propri superiori e sentire un’aggressività che fa vivere uno stato di continua frustrazione. Si può soffrire molto anche senza arrivare a e situazioni vessatorie.

Il disagio  sul lavoro può essere quello di tollerare fatiche aggiuntive per ottenere lo stesso risultato degli uomini –  incontrare situazioni vessatorie, angherie e ingiustizie – fino a vere e proprie situazioni di mobbing  o molestie.

Può essere, ancora, il disagio di chi ha fatto delle rinunce lavorative e ha dei rimpianti che non le consentono di essere felice con ciò che ha. Ci sono donne che hanno rinunciato al lavoro per i figli e poi incontrano un senso di vuoto accompagnato dall’esigenza di dover giustificare la propria posizione ai propri occhi e a quelli degli altri.

Gli studi compiuti in tema di patologie dell’organizzazione del lavoro hanno evidenziato differenze significative tra le lavoratrici e i lavoratori. I principali fattori di stress legati all’appartenenza di genere possono raggrupparsi in tre macro-categorie:

  •  la conciliazione;
  •  la tipologia del lavoro;
  •  le molestie e il mobbing.

Tra le tante diversità che contraddistinguono uomini e donne vi è quella che riguarda “l’asimmetria dei tempi di vita”. È un fatto ancora attuale che le donne si occupino, in misura maggiore rispetto agli uomini, dell’accudimento di figli e familiari anziani (cosiddetto lavoro di cura) e, contemporaneamente, svolgano un’attività lavorativa, spesso anche a tempo pieno.

La conciliazione si configura, pertanto, come la prima e principale fonte di stress per le donne, alla ricerca permanente della compatibilità tra gestione del menage familiare e lavoro. Secondo i dati di un’indagine ISTAT, “mentre i lavoratori maschi dedicano in media 2 ore al giorno per assistere i familiari, le donne ne dedicano in media 5 e mezza”. In Italia, mediamente, una donna ha 81 minuti al giorno di tempo libero in meno rispetto ad un uomo.

Il lavoro domestico e la casa, non considerati in precedenza come ambienti patogeni, in quanto solo il luogo di lavoro produttivo era stato individuato come “stressor”, sono stati, di recente, identificati come fattori prevalenti di stress per le donne, sia casalinghe che lavoratrici.

Le diverse attività, sicuramente difficili da bilanciare in termini di impegno, sia temporale che emotivo, rendono pressoché inevitabile, per il genere femminile, un doppio carico di stress fisico e mentale che si ripercuote sul lavoro in relazione a molteplici aspetti:

  • il timore della donna di penalizzare la carriera in caso di gravidanza
  • le difficoltà nel trovare la piena soddisfazione dal punto di vista della carriera e del riconoscimento economico (“soffitto di vetro”);
  • le tensioni che spesso insorgono con il datore di lavoro per le richieste di permessi, aspettative, turnistiche agevolate;
  • le maggiori resistenze della donna a svolgere trasferte e distacchi in località lontane dal domicilio.

Il 2° fattore di stress lavorativo legato al genere riguarda le tipologie professionali. Ancora oggi le donne:

  •  ricoprono, proporzionalmente, ruoli con minore responsabilità ed autonomia (ancorché impegnativi sul piano dell’attenzione),
  •  sono più esposte a lavori monotoni e ripetitivi,
  •  sono meno coinvolte in attività lavorative che richiedono problem solving e creatività,
  •  sono più esposte a lavori precari,
  •  avvertono limiti nello sviluppo di carriera e retribuzione.

Secondo alcuni dati, infatti, in Italia solo il 5% delle donne raggiunge il vertice delle aziende. E’ il cosiddetto “soffitto di cristallo o di vetro”, quell’invisibile barriera che tiene lontane le donne dalle posizioni apicali organizzative, spesso risultato di sottili meccanismi di discriminazione.

Il 3° fattore di stress lavorativo legato al genere è la maggiore esposizione delle donne a molestie sessuali e mobbing.

VIOLENZA SUL LUOGO DI LAVORO :  Vengono comprese le molestie sessuali con contatto fisico – colleghi, superiori o altre persone che sul posto di lavoro hanno tentato di toccarle, accarezzarle, baciarle contro la loro volontà – fino al tentativo di utilizzare il corpo della donna come merce di scambio, con la richiesta di prestazioni o rapporti sessuali o di una disponibilità sessuale in cambio della concessione di un posto di lavoro o di un avanzamento.

L’articolo 1 dell’OIL (convenzione Organizzazione Internazionale del Lavoro) le definisce come “l’insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, includendo la violenza e le molestie di genere”. In tale ultimo caso si fa riferimento alla violenza e alle molestie nei confronti di persone a causa del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali.

La Convenzione Oil assurge ad importante conquista nell’ottica della “prevenzione” e della creazione di ambienti lavorativi migliori.

La soddisfazione lavorativa è particolarmente correlata con il benessere psicofisico. La sindrome da disagio lavorativo si manifesta in genere con sintomi ansioso depressivi e disturbi dell’adattamento o psicosomatici (insonnia, colite, debolezza, disturbi fisici ecc.). Nei casi più gravi si può parlare anche di disturbo da stress post-traumatico.

Le conseguenze sulla salute dell’individuo si ripercuotono anche sulle relazioni interpersonali e sulla vita sociale. A questo vanno aggiunti i costi economici a cui spesso deve far fronte il lavoratore: spese mediche, legali, per cure psicologiche, ecc.

Il disagio lavorativo provoca conseguenze come scarsa efficacia ed efficienza, bassa qualità della comunicazione, clima ostile all’interno del posto di lavoro e bassa produttività.

Dobbiamo iniziare a pensare allargando l’interesse e l’attenzione non soltanto ai danni fisici, spesso irreversibili o fatali, inserendo anche quelli non fisici che risultano spesso altrettanto gravi ma certamente meno evidenti e spesso meno evidenziati dal lavoratore.

Dottoressa Gianna Tollis

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