
mi rivolgo a te, rappresentante del genere cui appartengo, per quanto il genere sia diventato categoria politicamente scorretta, proprio mentre si moltiplicano gli allarmi di violenza e prevaricazione del sesso forte sul più debole.
Sebbene almeno nella condanna ai carnefici siamo tutti d’accordo, nei fatti evitiamo di affrontare l’argomento, scomodo perché sconta pregiudizi antichi e distorsioni odiose dalla polarizzazione dei facili giudizi e da una narrazione sensazionalistica che non giova, aggravata com’è dalla crisi sistemica dei valori comuni.
Come in una compagnia di sordi che gridassero per farsi sentire senza mai ascoltarsi ci addoloriamo, indigniamo, arrabbiamo, pretendiamo punizioni esemplari ad ogni nuovo episodio, evocando luoghi comuni idioti e disturbi comportamentali isolati; peraltro solo per il tempo del clamore mediatico, poi torniamo inermi e riluttanti a chiederci dove si nasconda e da dove provenga il mostro che arma la mano.
Invece dovremmo discuterne perché è urgente mettere fine a questa vergogna, cominciando col chiederci cosa davvero porti i meno evoluti fra noi a credere di poter disporre della donna come territorio di proprietà, fino ad arrivare nei casi peggiori ad arrogarsi fosse solo l’ipotesi della punizione per un no inaspettato.
Comincerei da una materia intangibile e inesplorata perchè ritenuta, in questi tempi di dogmatismi pseudo scientifici per cui ha valore solo quanto dimostrabile, roba da predicatori new age: nel sentire comune abbiamo smarrito ogni senso di spiritualità profonda che ci richiami all’essere umani, ci elevi sopra l’ovile quotidiano, rendendoci il valore della vita, di ogni vita, tutte interconnesse in un’unica cosa con l’universo.
Non mi riferisco necessariamente ad una fede religiosa, soprattutto non alla storicizzazione temporale della nostra, colpevole di aver da giustificato il patriarcato più retrivo, dettando la dottrina di un Dio oltre i generi umani nelle prediche ma poi rigidamente maschile nella legge e nella gestione del potere.
La donna è stata nella dottrina da un canto Madre Santa generatrice di vita, degna di partorire Dio fatto Uomo (e comunque, a rigore, non donna) solo se vergine dal peccato di Eva la sua progenitrice tentatrice, ma dall’altro canto costola maschile, a questi subordinata nel dovere di fedeltà nella buona come nella cattiva sorte, (a prescindere da cosa e chi le toccasse in sorte); esclusa dalle pratiche sacerdotali e dalle decisioni di enclave perché implicitamente inadatta, Maddalena peccatrice salvata da Cristo dalla lapidazione per mano dei suoi stessi sfruttatori che di notte la bramano e di giorno la bollano con una morale comunque loro, se non, nei momenti più bui della storia, strega eretica da ardere perché ancora una volta strumento del demonio.
Per le altre religioni il trattamento è più o meno simile, se non addirittura peggiore, quando la si vuole imbustare agli occhi dei possibili altri pretendenti, infibularle l’appendice del piacere o regalarla per premio celeste all’eroe kamikaze di turno.
Che la Donna si sia emancipata non è conquista solo femminile ma evoluzione della società tutta: dovresti esserle grato tu, fratello maschio, invece di lamentartene per non riuscire a starle al passo: lasciato al palo, frigni, poverello, confuso, impotente e sperduto, spogliato del ruolo della famiglia che sempre tu definivi naturale. Peccato che naturale lo fosse solo per te che, per quanto dovessi sobbarcarti la sussistenza dell’intera famiglia, moglie compresa (che comunque non si girava i pollici), al rientro a sera ti arrogavi la pretesa dell’assistenza servile, pasto pronto, camicia stirata e piacere a comando, nel letto di casa, dell’amante di riserva o del bordello di quartiere, con le maddalene a servizio per la soddisfazione dei bisogni di svuotamento delle tue maschie appendici.
Lo so, fratello maschio, che la fluidificazione del modello di famiglia tradizionale ha trascinato con sé anche quanto di buono in quell’equilibrio di ruoli pure c’era, soprattutto nell’educazione dei figli al No che insegna a conquistare e non a pretendere, ma bisognava distruggere quel lusso insano basato sul loro sacrificio. Come so che tante volte quell’emancipazione pur necessaria ha prodotto aberrazioni inverse e mariti, amanti ed ex finiti in depressione, ma, diciamocelo, è la pena minima da scontare per le aberrazioni che ci siamo voluti permettere.
Se poi alle ripercussioni delle rivendicazioni femminili aggiungiamo l’involuzione delle relazioni umane in questo momento storico di virtualizzazione del reale, ogni forma di spiritualità che ci possa avvicinare ad una medesima essenza, evapora, umiliandosi fra le faccine false fotoritoccate nei profili chat, dove perdiamo o rifuggiamo la possibilità di approccio all’altro, preferendo all’autenticità complessa e problematica l’illusione di un incontro al buio in cui fingere gli stereotipi da tanti like che la comunità virtuale pretende.
Perché impantanarsi in una relazione seria, ci chiediamo da una parte all’altra, piena di problemi e di impegni se a portata di click c’è una moltitudine di riserve illusioriamente più facili, disponibili e sorridenti?
Ovvio che in questa finzione di senso trovino spazio gli istinti più bassi e perversi che, indisturbati e fuori dal controllo di istituti valoriali ormai al lumicino, rimestano nel torbido dei facili inganni e delle trappole viziose soprattutto con le vittime più fragili e indifese.
Insomma, fratello maschio, il discorso è complesso, tante le componenti, le ragioni, i guasti che ci allontanano invece di avvicinarci, e per quanto tu voglia cercare alibi alla tua inadeguatezza se le donne ti si dovessero mostrare barbie o wonderwoman come da stereotipi mediatici più deteriori, per quanto ti dovessi pretendere perfino provocato dalle loro incoerenze umorali, dalle nevrosi dei nostri tempi, dagli improvvisi ripensamenti o abbandoni, o addirittura dalle trappole di seduzione,
non hai alibi né scusanti alla tua necessaria evoluzione e tocca a te farlo.
Ma, ancor prima, fratello maschio, tocca dirselo: è tempo di finirla. Conosci perfettamente il limite che non si oltrepassa, senza bisogno di disegnini e imposizioni; ragazzini e vecchi, svalvolati e integerrimi, obnubilati e sobri, traditori e traditi, frustrati e farfalloni, dottori e contadini, impulsivi, narcisisti, impotenti e manipolatori, mariti, amanti, figli, padri, fratelli e kamikaze nell’eden,
Basta. La mano non si alza mai, la mano non si alza più.
Fermarla non spetta alle vittime, che si ritrovano sole e indifese pure se cercano protezione dal poliziotto che le risponde di potere poco o nulla; spetta all’intera comunità farsene carico, con in prima fila te, maschio, affinché ancora possa chiamarti fratello.
Antonio Pizzola
foto di copertina: link
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