“Green communities” tra proposte di sviluppo e insidie

Se il sistema capitalistico crolla, se le fabbriche chiudono, se non c’è lavoro e l’industrializzazione (soprattutto nell’entroterra e alla luce del mercato globale) non ha avuto i risvolti sperati allora è tempo di cambiare passo. Come hanno cercato di spiegare ieri durante l’incontro organizzato a Pettorano sul Gizio dall’Accademia Primo Levi che porta lo zampino di Michele Fina (Pd), oggi tra l’altro impegnato in un altro incontro sull’Europa in crisi a Pratola Peligna. Insomma dopo anni e anni dedicati alla produzione industriale ci si è resi conto magicamente che la formula non può più andare, che c’è necessità di un “riequilibrio” tra le forze mondiali dove l’Europa appare un po’ un carretto non più trainante. E allora lo sguardo cade sulla natura in un nuovo pensiero che a livello mondiale, fuori dall’Italia (ovviamente), ha avviato non pochi dibattiti legati alla quantificazione del valore economico della natura, che la cosa fa già un po’ rabbrividire perchè solleva, e ne ha parlato il professore universitario dal ricco curriculum Davide Marino, il preoccupante pensiero di affibbiare al patrimonio naturalistico un valore utilitaristico per mettere sostanzialmente in atto percorsi volti allo sviluppo “sostenibile” e al pagamento dei “servizi ecosistemici”. In questo senso Marino ha parlato di “presa di coscienza”, di quantificazione del patrimonio. Esiste, ad esempio, il pagamento dei cosiddetti “crediti di carbonio” (ai quali è stato fatto riferimento durante l’incontro), nati dal protocollo di Kyoto, che qualche discussione sulla riduzione o meno delle emissioni a livello mondiale lo hanno sollevato perchè poi i paesi che inquinano di più acquistano crediti da chi inquina meno, una compravendita da un lato all’altro del globo che, nei fatti, non cambia la situazione di base.

Senza allontanarsi troppo dal contesto territoriale il discorso delle “green communities” lanciato ieri si basa su un sistema, una linea sottile che divide lo sfruttamento dall’uso davvero sostenibile del patrimonio naturalistico, che qualcuno chiama addirittura “capitale”. Che poi non tutto è da condannare, certo ieri qualche riferimento di troppo è stato fatto al mercato delle biomasse e con la nuova legge forestale la somma si fa assai preoccupante prevedendo quest’ultima, in parole spicciole, una maggiore “libertà” nel taglio degli alberi con forme che hanno adirato tantissimi esperti italiani ed europei, con l’associazione European Consumers tornata a sollecitare un paio di giorni fa il nuovo governo ad una modifica del decreto noto come “ammazzaforeste”. Dunque una linea sottile che permette il salto da una parte all’altra in base alle esigenze, sempre perlopiù economiche.

L’Accademia Primo Levi, tuttavia, ieri ha parlato, ha invocato una strategia comune tra tutti i piccoli comuni dell’entroterra per evitare lo spopolamento e far tornare a vivere i giovani, laureati e non, nelle loro terre natie anche se poi per farlo bisogna sollevare tutta un’altra serie di deficit che scoraggiano il “ripopolamento”. Ne ha ricordato qualcuno il presidente della Provincia dell’Aquila, Angelo Caruso, perchè “è necessario rendere possibile la vita nei borghi” ed ovviare “al sottodimensionamento dei servizi rispetto alle esigenze” e concedere “incentivi e sgravi a favore delle aree interne”. Chi dimentica l’eterno problemi dei tagli ai trasporti o le condizioni precarie delle infrastrutture. Mentre il sindaco di Pettorano, Pasquale Franciosa, ha elencato tutto il già fatto per rendere il suo paese “green”: la riserva Monte Genzana-Alto Gizio, il fitodepuratore, la raccolta porta a porta, il fotovoltaico sulla scuola, l’efficientamento energetico del municipio. Il prossimo obiettivo, progetto in fase di finanziamento, è la centrale a biomasse per la scuola e la banca della terra per censire i terreni da mettere a disposizione dei giovani che vogliono intraprendere la via agricola.

Discorsi di vere e presunte “green economy” che possono nascondere diverse insidie e che, se fatti, vale la pena strutturarli alla presenza di esperti del settore anche con idee trasversali, giusto per avere una panoramica più ampia e non lasciare nulla al caso evitando danni ai quali poi difficilmente si potrà correre ai ripari. Di elezioni ce ne sono tante, di “patrimonio naturalistico” solo uno.

Simona Pace

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