
Piergiorgio Viti ha scritto un poemetto su San Cinereo, santo di sua invenzione così battezzato in quanto autore di miracoli sbagliati e perciò a un certo punto arso per punizione sul rogo
“Cinereo / venne chiamato così / dopo il rogo / che gli polverizzò la vita”.
Se gli si chiede una grazia, Cinereo prova a farla, ma il risultato è immancabilmente maldestro, l’effetto comico: chi stava male, e sperava nel miracolo per averne salvezza, alla fine si ritrova messo peggio di prima. Cinereo ce la mette tutta e tuttavia non riesce a combinarne una buona, il suo intervento è sempre involontariamente peggiorativo: è “un santo che sbaglia tutto”, scrive Mauro Querci nella prefazione, e a forza di sbagliare diventa un caso, una sorta di pericolo pubblico, una forza fuori controllo tanto più pasticciona quanto più benintenzionata. Così, un giorno,
“per sedare / i tumulti / di un popolo ferino, / nero su bianco, / Decio imperatore / lo giustiziò pubblicamente / sull’Aventino”.
Viti ambienta questa sua storia tra il 217 e il 250 dopo Cristo e le dà come sottotitolo Vita formidabile e ignota di un santo minore. Abbiamo detto “storia”, ma la definizione è inesatta (come del resto lo sono tutte), perché San Cinereo è casomai un polittico di momenti, un gioco d’ironia e d’amarezza svelto e tecnicamente alto come un capriccio di Paganini.
Viti è un insegnante, ha natali sulmonesi, vive da sempre nelle Marche, scrive poesia da molti anni, ha pubblicato libri salutati con plauso e molto ben reputati (fra cui Aperto per inventario e Dentro al petto mi si muove un canto) ed è tradotto all’estero. Con San Cinereo, pur nella fedeltà al suo stile aperto e piano, approda di fatto a un nuovo esito della sua ricerca poetica.
Il testo raccolto in questa plaquette (molto raffinata e realizzata in tiratura limitata dalla Libreria Cardano) non è un divertissement, ma il frutto più recente di un lavoro che va avanti da tempo e che si pone il problema di approdare a forme di novità.
Il povero Cinereo, il santo sbagliato che fa miracoli al contrario, è l’invenzione parodistica di un antico che immette nel nostro contemporaneo la gestualità goffa e micidiale di un loser fatalmente incompatibile con quelle che oggi diremmo le logiche del successo e della riuscita, ossia le logiche di mercato. Soccombe, Cinereo: a sé stesso e al mondo; e alla fine non può che trovare casa
“in un paradiso / di perdenti come lui”.
Simone Gambacorta
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