Il doppio gioco

Il tribunale civile dell’Aquila gli ha dato ragione, alla faccia delle facce di fondoschiena che gli avevano accostato Le Iene: il presidente-senatore Luciano D’Alfonso può continuare a fare sia il presidente che il senatore, perché, dice il tribunale, “fin quando non vi è la convalida della nomina di senatore, con conseguente consolidazione dello status di parlamentare, il resistente non può essere dichiarato decaduto rispetto a nessuna delle due cariche, conservando la facoltà di opzione rispetto alla carica da ricoprirsi”. La sentenza, contro cui i 5 Stelle hanno annunciato appello e che è stata contestata anche da importanti costituzionalisti, è senza dubbio difficile da comprendere ai comuni mortali, perché insomma D’Alfonso (che è l’unico amministratore che non si è ancora dimesso da suo doppio ruolo) è nei fatti un parlamentare, tanto da presentare leggi ed emendamenti, ma non abbastanza da far scattare l’incompatibilità prevista dalla Costituzione. Senza addentrarsi nelle ragioni giuridiche, che ora il tribunale dell’Aquila e in futuro chissà il giudizio di secondo grado definiranno, la questione in verità è o dovrebbe essere prettamente politica. Tant’è che nella stessa sentenza che “assolve” D’Alfonso si specifica che “il resistente ha ancora la facoltà di esercitare l’opzione”. La facoltà, dunque, non l’obbligo. E siccome D’Alfonso non lo ha obbligato nessuno, dovrebbe, avrebbe dovuto, per rispetto degli elettori, fare le valige in fretta e furia dall’Emiciclo, perché quello che gli ha consegnato l’Abruzzo il 4 marzo, facendo precipitare il Pd in regione ben oltre quanto sia accaduto altrove, è un sonoro due di picche. Un politico di statura lo avrebbe capito e avrebbe fatto la scelta conseguente, al di là della fissazione della data delle elezioni regionali, che poi ottobre o maggio poco cambia, o quasi. In verità in questi mesi qualcosa è cambiato, ma solo per qualcuno, per quelli cioè che sono stati assunti in enti e società partecipate (Arta, Ersi, Aric, Aca), per lo staff del presidente che si è visto rinnovare il contratto in anticipo e per la pletora di prebendati nominati in extremis. E il Pd, con il segretario dimessosi per finta, in testa a difendere una sentenza, invece di tornare a fare un po’ di politica. Perché poi non ci si può stupire dei sondaggi che danno i partiti antisistema in imbarazzante vantaggio di chi oggi resta attaccato alla poltrona. Con o senza il timbro dei giudici.

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