
La sua battaglia il Guerriero di Capestrano la combatte nei tribunali. La lotta sulla sua presunta contraffazione è ancora aperta, con udienze e commissari ad acta da rinominare per stabilire l’autenticità, o meno, di uno dei simboli dell’Abruzzo. Perché la statua nel simbolo della Regione è entrata di prepotenza meno di un paio di anni fa, quando lo stemma dell’Abruzzo venne stravolto, inserendo il guerriero e una citazione di Plinio il Vecchio, riferita ai Sanniti. Sull’utilizzo del Guerriero di Capestrano nell’iconografia della Regione si è espresso Antonio Merola, trentadue anni, sulmonese, archeologo specializzato con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum di Bologna e con esperienze di scavi in Germania, Croazia, India, Francia e, ovviamente, a Corfinio a una manciata di chilometri da casa sua, dove ha affondato letteralmente le mani tra la sua terra e le proprie radici.
Le piace il simbolo della Regione?
Preferivo quello di prima, lo scudo francese con le tre bande bianco verde blu. “L’aggiornamento” del 2024 è mera retorica politica.
In che senso?
L’utilizzo di simboli è sempre stato un paradigma per la rappresentazione del potere e per “riassumere” le comunità, specialmente nei periodi precedenti dell’alfabetizzazione di massa. Adottare il Guerriero di Capestrano come simbolo, vuol dire ridurre un Bene Culturale (la statua) a sineddoche di un’intera Istituzione Regionale. Questo processo arriva a snaturare l’artefatto, privandolo della sua funzione.
Qual è la funzione del Guerriero?
Per gli antichi rappresentava un membro delle élites che deteneva il potere. Attraverso il suo armamentario, la sua iscrizione e la sua morfologia, indicava alla comunità di appartenenza la tomba di un membro che deteneva il potere, che dava contemporaneamente lustro alla famiglia di appartenenza e importanza agli antenati del passato. Tutto ciò aveva come scopo quello di rafforzare il potere economico/sociale presso le comunità. Per noi contemporanei invece, la statua offre un’imperdibile fonte di informazioni dell’uomo antico che ha abitato in questi luoghi: possiamo ricostruire, insieme ad altre tracce, la struttura sociale, le trasformazioni politiche, la ricerca delle forme iconografiche, la ricostruzioni di lingue antiche. Insomma, è una fotografia del passato a tutti gli effetti. In entrambi i casi, il Guerriero ha senso nel suo tempo e nel suo spazio. Inserire il Guerriero in uno spazio (l’Abruzzo) e tempo (età contemporanea) diversi dalla sua funzione vuol dire creare un falso!
Ma quindi la statua è falsa?
È proprio questo il punto. Rappresentare un’intera comunità con un oggetto antico, vuol dire mettere in pericolo il significato dietro questa associazione. Se il Guerriero di Capestrano diventasse un falso, anche la comunità rappresentata finirebbe nella finzione. Fortunatamente la statua è assolutamente vera, autentica e antica: essa si inserisce in un corpus di raffigurazioni e iscrizioni paleosabeliche tra la metà del VI sec fino al IV sec. a.C. La sua iconografia, gli oggetti raffigurati e l’iscrizione sono stati cruciali per la comprensione di altri manufatti simili trovati a Castel di Ieri, Crecchio, Penna S. Andrea, Bellante, Campovalano e S. Omero (solo per citare i siti abruzzesi). I reperti provenienti da questi siti, che sono per lo più bassorilievi e iscrizioni, sono stati studiati, analizzati e recensiti da un numero enorme di studiosi italiani, tedeschi, francesi e inglesi, che da più di un secolo di storia degli studi rimangono al centro dell’attenzione degli studiosi moderni. La storiella che sia una creazione moderna è di per sé insensata: un falso lo si fabbrica per essere venduto al mercato nero, non per alimentare decenni di studi.
Ma allora qual è il problema?
Il problema è l’utilizzo politico-propagandistico dei Beni Culturali della nostra regione. Al di là delle inesattezze araldiche dello stemma, anche la scritta “Gentivm vel fortissimarvm Italiae” di Plinio è un forzatura imbarazzante, in quanto è una frase non riferita agli “abruzzesi”, ma a popolazioni ben piu antiche e dislocate in vari punti della penisola. E poi possiamo davvero riassumere la storia di un territorio con un oggetto? Cos’è l’Abruzzo senza le abbazie, gli eremi e le chiese? Cos’è l’Abruzzo senza i sui castelli, le sue mura i suoi campanili? Tutti questi artefatti sono molto piu comuni di una statua pre-romana e concorrono tutte insieme a raccontarci la storia dei un territorio. Selezionarne una fonte vuol dire escludere il resto della storia. In una parola: revisionismo.
Quindi il guerriero di Capestrano non è inclusivo?
Certo che no, ma non è colpa della statua. È colpa di chi la usa. Il guerriero aveva la funzione di ricordare verso il passato e verso il futuro, chi aveva il potere. E questo potere era in mano a delle élites che dovevano essere riconosciuti attraverso una simbologia e un’iconografia ben nota. La statua non ha nessun intento di unire una comunità, ma solo quello di essere ricordato e ricordare allo stesso tempo. Immaginare che il Guerriero possa unire una comunità che vive 2.500 anni dopo la sua creazione, e un territorio diverso da quello della tarda età del Ferro, che parla una lingua diversa, prega divinità diverse, e vive in maniera diversa è semplicemente anacronistico.
Eppure non siamo gli unici, anche altre regioni hanno adottato nei loro stemmi cose simili…
Certamente! Ma nessuno è arrivato a racchiudere una regione con un oggetto ben specifico e una frase sbagliata. Per esempio: lo stemma della regione Calabria presenta nel suo stemma un capitello dorico, un pino laricio, una croce bizantina e una croce “normanna”. Questi elementi non sono oggetti ma simboli. Il pino laricio, rappresenta le foreste della Sila, il capitello e le due croci rappresentano delle parentesi cronologiche/culturali. Anche Marche hanno nel loro stemma un picchio (animale totemico pre-romano) insieme alla “M” di Marche. Ma anche qui non esiste un picchio in particola ma il picchio usato come simbolo del Piceno (almeno secondo gli annalisti romani). Nel Nord Italia il discorso non cambia: anche nella Lombardia è raffigurato la cosiddetta rosa camuna, la quale deriva dalle incisioni di età mesolitica (siamo tra i 10.000 e gli 8.000 anni fa!). Anche in questo caso parliamo di simboli e non oggetti. In Italia ci sono centinaia di migliaia di pini, di croci, di picchi e raffigurazione della rosa camuana (si parla di piu di 100.000 raffigurazioni!); mentre c’è solo un guerriero di Capestrano. In conclusione negli stemmi regionali sono raffigurati simboli e nomi. Ma non in Abruzzo, dove al posto del nome è riportato il nome “Italia” (scritto da un romano 2.000 anni fa che non comprendeva, a essere buoni, la provincia di Teramo), e al posto di un simbolo è riportano un oggetto (unico nel suo genere e non comune).
Ma perché è stato utilizzato il Guerriero di Capestrano come simbolo della Regione?
A mio parere i motivi sono due. Il primo è stato quello di usare la figura del Guerriero come esempio di forza di una regione che è fanalino di coda in termini di sanità e lavoro e tra le prime nei reati ecologici, emigrazioni di giovani e denatalità. Il richiamo a questa “forza” proveniente dal “passato” è solo un espediente di una classe politica inadeguata, che nella confusione generale dei problemi che affliggono il territorio, rispolvera il vecchio principe vestino per trasformarlo in influencer. Il secondo motivo è la scarsa sensibilità con cui vengono trattati i Beni Culturali i quali vengono utilizzati per fini politici, consumati nella loro importanza storica e poi gettati in mano a millantatori e revisionisti. È curioso che l’unica Regione d’Italia che abbia un oggetto specifico appartenente al Patrimonio Culturale sia al tempo stesso ultima in tutte le classifiche nazionali, quali il valore economico della cultura in Abruzzo (3,9% del economia regionale rispetto alla media nazionale di 5,6%) e la partecipazione delle famiglie ad eventi culturale ( 5,6% della popolazione rispetto alla media di 8,5% su base nazionale).
Quindi bisognerebbe ritornare al vecchio stemma?
Il vecchio stemma era composto solo dallo scudo con i tre colori che rappresentavano la costa, le foreste e le montagne. Ogni abruzzese, o meglio, ogni essere umano che sia mai esistito in questo territorio avrà avuto a che fare con questi tre elementi che il territorio offre. In Abruzzo i biomi alpini e costieri coesistono in un fazzoletto di terra ricca di culture che per millenni hanno lasciato un pezzettino del loro passaggio, consapevoli che la loro aggiunta avrebbe arricchito la storia umana in questo territorio. Il Guerriero è uno di questi pezzi.
Cosa consiglia alla Regione?
Una presa di coscienza dell’errore commesso. Riportare il Guerriero dove merita di essere, ossia nella Storia e non su gagliardetti. Iniziare un percorso che riporti l’Abruzzo non ad essere “guerriero” ma ad diventare una regione leader nella lotta alla criminalità organizzata, alla tutela dei biomi, a invertire la tendenza allo spopolamento e a evitare che i giovani debbano partire. Non c’è colore politico che regga davanti a queste battaglie esistenziali per la nostra Regione. Per lo meno questo è quello che farebbe il Guerriero di Capestrano: affrontare il presente per costruire il futuro.
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