Il quadro guarito

Da bimbo credevo non tanto alle favole, ma a chi me le leggeva. Anche adesso è così. Quando due amici, tra vino scuro e chiaro, mi parlano dell’Abate Ciccio di Canale Serino venuto al mondo nel 1657 tra gli Osci d’Irpinia. Di chiese, una barocca in quel vico nero nero romanzato dalla Signora dei giornali e un’altra che circondata dalle mura di Solimo fu la tana dei frati benedettini. Di un dipinto scolorato e un nobile nomignolo antico assai che ora sa quasi di prodigio.

Solimena, pittore e architetto, dipinse tra il 1699 e il 1701 L’Adorazione dei pastori: al centro la Madonna col Bambino. Disteso. Alle sue spalle San Giuseppe, il bue e l’asino, in basso un uomo inchinato. A manca scorgi una figura contadina, mentre in primo piano ecco gli altri pecorai. In alto la gloria di angeli e putti. Francesco, figlio di Angelo e maestro di tutte le arti, diede vita a una scuola affollatissima per numero di allievi e altissima per i risultati ottenuti. Il cartone dell’opera passò da novizio a novizio – è sicuro – di bottega in bottega. Fino a quando una copia dell’olio su lino, di dimensioni ridotte e con alcune varianti, finì nella chiesetta di Sulmona. A sinistra, sopra la pala d’altare che nel 2006 la confraternita di Santa Maria di Loreto decide di far riparare. Poi la scintilla di don Paolo per guarire anche quel quadro sporco, impolverato dal tempo, leggermente offuscato dagli anni e ingiallito dalla vecchiaia delle vernici. Un restauro seriamente giocoso a porte spalancate, per mesi, regalato a sguardi curiosi e distratti passanti dalle mani artigiane del Sardo e dal generoso portafogli di un imprenditore battezzato come l’artista rococò.

Quasi vent’anni dopo la portentosa coincidenza, scoperta nel vecchio cuore spagnolo di Napoli, in un budello buio che ha ispirato Leggende napoletane di Matilde Serao. La storia racconta di tre sorelle, figlie del barone di Toraldo vissuto ai tempi di re Roberto d’Angiò. Malauguratamente innamorate dello stesso uomo. Pur di non ferire il loro sangue prendono il velo e investono la dote per istituire altrettanti famosi conventi.

La maestosa tavola del genio avellinese è stipata in un transetto del monastero di Santa Maria Donnalbina, in Portapiccola, dedicato alla sua madre fondatrice. Suora per amore e per rinuncia, come Romita e Regina. Albina, incredibile: lo stesso nome della mamma di chi ha finanziato, tre secoli dopo, la cura della tela quasi gemella conservata da sempre in Santa Lucia. Nel vicolo senza sole della Tomba.

Dylan Tardioli

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