In forma

Da quasi cinque anni faccio attività fisica in casa tutti i giorni, dal lunedì al venerdì. Una ginnastica placida che svolgo per contrastare la vita sedentaria, tentando di tenere su ciò che invece vuole andare giù.
Imbroglio un po’ nel conteggio delle ripetizioni e nell’esecuzione delle varie sequenze, ma è uno sconto della pena che devo necessariamente farmi, per riuscire ad essere costante nel tempo.
Mio figlio tenta spesso di suggerirmi movimenti più efficaci, oppure mi imita per farmi capire come sia buffa e pressoché inutile la mia palestra casalinga, ma io non demordo: quella che faccio è un’attività fisica semplificata, magari non particolarmente efficiente, ma sicuramente piacevole e dilettevole.
Alla mia età non ho bisogno di sottopormi a ulteriori fatiche, dopo aver affrontato quelle di ogni giornata: preferisco regalarmi un’oretta tutta mia, fatta di movimenti che il mio corpo conosce ormai alla perfezione, con i quali riesco a domare doloretti, tensioni e irrigidimenti vari ed eventuali.
Fare ginnastica in casa è comodo, perché non si ha bisogno di ritagliarsi del tempo fra gli impegni quotidiani, non c’è una retta mensile da pagare o un abbigliamento particolare da indossare e poi sono la più giovane e agile del corso e questo giova alla mia autostima.
Il tutto non ha niente a che vedere con Jane Fonda e le sue mitiche videocassette di aerobica: non indosso nessuna colorata fascia di spugna o attillata tutina di lycra, altrimenti verrebbero a mancare la spontaneità, la casualità e la praticità della faccenda.
Non c’è un momento della giornata particolarmente adatto per questo tipo di allenamento: basta tenere da parte un po’ di energia e tanta ironia, perché prendersi troppo sul serio, in certi frangenti, può essere deleterio, soprattutto se un mobile lucido ci restituisce il riflesso della nostra immagine, intenta in un esercizio ginnico che rivela tutta la nostra goffaggine.
Ho fatto tanti addominali ascoltando i miei figli ripetere le lezioni o aspettando che cuocesse la pizza in forno. Ho fatto tante flessioni per riscaldarmi nei rigidi inverni. Ho innalzato al cielo i manubri da due chili decine di volte, per scaricare i nervi e la rabbia accumulata in giornate particolarmente storte.
Naturalmente vengo amabilmente presa in giro se, nel sollevare una gamba, mi vola via una pantofola, oppure se un’articolazione emette un ritmico e sinistro scricchiolio, ma a me piace questa parte della vita in cui i miei figli pensano di essere più esperti, moderni e vissuti di me. Li lascio fare, rido con loro e li aspetto al varco: passeranno da queste parti prima o poi e spero di essere ancora viva quel giorno, per avere la possibilità di contare i loro scricchiolii e parare le pantofole volanti.

Poi c’è la danza, o meglio la sala prove di danza. Ci vado ogni volta che posso: body, scarpine, scaldamuscoli e mano alla sbarra.
La maestra ha riempito la scuola con la scritta “Dance Center forever” e io quel “forever” l’ho preso sul serio: per sempre sia.
Dico la verità: ce la faccio sempre di meno, ma il mio corpo ha bisogno di una certa dose annuale di “en dehors”, per contrastare il tempo che tende a farlo chiudere -“en dedans”-.
Viziata dalla mia tenue ginnastica casalinga, durante le lezioni di danza mi affatico molto, perché sono fuori forma, o meglio, perché la mia forma è cambiata, non essendo più determinata dalla struttura scheletrica su cui si distribuiscono muscoli e adipe, ma da una linea continua, marcata e chiusa, che ho tracciato a fatica in tanti anni, delimitando i contorni, segnando i limiti, tracciando i confini e incorniciando quello che sono.
Nella vita si ha bisogno di qualche punto fermo, come la certezza che, nonostante il tempo sia passato e le mode siano cambiate, un plié, un tendu e un rond de jambe sono e saranno sempre quelli, da fare con i muscoli tutti tesi, cercando di ignorare l’elastico del body che si infila dove non dovrebbe e lo sguardo severo dell’insegnante che conta il tempo di una melodia, colonna sonora di gran parte della mia vita.
Sono passati quarantuno anni dalla prima volta che qualcuno mi urlò: “Stendi le punte, solleva i gomiti, raddrizza la schiena e non guardare a terra”, ormai le vivo come raccomandazioni materne che precedono un viaggio: “Vai piano, stai attenta, mangia e scrivimi quando arrivi”.
La sala di danza per me non è un luogo in cui andare, ma un posto in cui tornare, ogni volta un po’ diversa, accolta da un sorriso e un abbraccio a tutto quello che sono diventata, che è poi l’unica cosa che posso portare sul palcoscenico, ora che l’entusiasmo è sempre lo stesso, ma i giri mi fanno venire la nausea e i salti mi provocano il mal di schiena.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

Commenta per primo! "In forma"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verrà mostrato.


*