Incendio, il Morrone dimenticato

E mentre il Comitato Territori Attivi torna a battere sulla questione antincendio in Abruzzo, dove tutto sembra fermo all’anno zero, sulla montagna vittima degli incendi della scorsa estate poco o niente è stato ancora fatto, se non quel minimo di monitoraggi effettuati dal Comune di Pratola e dal Parco Nazionale della Majella che pure, in qualche modo si sta muovendo, quantomeno per stimare i danni e correre ai ripari lì dove sarà necessario intervenire. E se i carabinieri forestali hanno fornito i dati sulla situazione della montagna solo a febbraio scorso, esiste una relazione della Società Italiana di Restauro Forestale (Sirf) che già a novembre aveva stimato danni e soluzioni per le aree percorse da incendio ad opera di alcuni dei maggiori esperti in Italia (Andrisano, Contu, Schirone, De Laurentiis). Una relazione in cui si parla di “prontezza” di intervento per la diminuzione del rischio idrogeologico e per ristabilire il manto vegetale.

Quasi duemila ettari, una stima approssimativa effettuata con dati satellitari e sopralluoghi, sono quelli interessati dalle fiamme della scorsa estate  che hanno coinvolto i comuni di Caramanico, Pacentro, Pratola, Roccacasale, Salle e Sant’Eufemia a Majella in aree costituite prevalentemente da rimboschimenti di conifere e ginestreti (i pini neri i più coinvolti), 1330 ettari dei quali parte del Parco Majella soprattutto nella parte destinata al pascolo. Tant’è che per Sulmona si è creato proprio il problema di individuare un’area alternativa in cui consentire appunto il pascolo. “Siamo a lavoro con Regione e forestale” ha dichiarato a proposito l’assessore Antonio Angelone. Di tutta l’area solo 37 ettari, secondo la Sirf, presentano un “danno severo; per la restante superficie la severità si presenta bassa o moderata” con vegetazione resiliente che in circa due o tre anni dovrebbe tornare alla situazione preesistente. Diverso è il caso delle aree forestali le cui ipotesi di intervento variano in base alla risposta al fuoco delle piante e alle caratteristiche geomorfologiche.

La Sirf, insomma, ipotizza interventi su circa 674 ettari, “dei quali 287 ha costituiti da formazioni forestali nelle quali la severità del danno si presenta limitata” fermo restando che a novembre, appunto, gli esperti raccomandavano la messa in sicurezza delle aree bruciate escluse da interventi di restauro con “interventi mirati di sistemazione idraulico forestale, nei casi in cui la presenza di fenomeni di dissesto possa arrecare potenziali danni ad abitazioni e centri abitati”, comunque nei fatti limitata.  Diversi gli interventi selvicolturali ipotizzati. Si parla di “semplice operazione di smantellamento (salvage logging) del soprassuolo bruciato (taglio a raso delle piante irrimediabilmente danneggiate) fino al rimboschimento artificiale delle medesime. In particolare, sui 387 ha di aree forestali interessate da un livello di severità del danno elevato e medio, si dovrebbe procedere al restauro del bosco bruciato partendo dal taglio a raso delle piante da seme e delle ceppaie delle latifoglie morte per favorire lo sviluppo della rinnovazione agamica, tagliando invece a circa 50 cm da terra le conifere. Il taglio a raso delle piante morte non pregiudica la stabilità del suolo perché questo è trattenuto ancora dagli apparati radicali che non vengono rimossi e, allo stesso tempo, evita che i tronchi bruciati possano essere stroncati e portati a valle dalle piogge ostruendo fossi e canaloni, aumentando così il rischio di alluvioni, oppure possano essere attaccati da patogeni o insetti”. Si parla nella relazione anche del rischio che i tronchi morti, cadendo negli anni successivi, possano danneggiare il processo di rinnovazione nonché dare una “pessima immagine” all’opinione pubblica.

Tuttavia, si specifica, che il “materiale legnoso dovrà essere in gran parte utilizzato sul posto per realizzare opere di protezione e contrasto passivo all’erosione superficiale del terreno, al rotolamento di pietre e massi e all’attivazione di slavine”. Per gli alberi meno coinvolti, invece, si ipotizza un diradamento dal basso, potatura e spalcatura i cui resti potrebbero, solo in questo caso, essere commercializzati destinando i fondi raccolti alla copertura degli interventi possibili in base alla normativa. Insomma resta necessario bandire il rischio di un preoccupante mercato delle biomasse. A distanza di due anni si consiglia poi di valutare un “rinfoltimento degli spazi vuoti” nei casi peggiori e con specie autoctone.

Ma la Sirf offre altri consigli come la regolamentazione dell’accesso alla pista utilizzata dagli incendiari, la chiusura e bonifica del poligono di tiro delle Marane le cui “continue deflagrazioni prodotte dai proiettili inesplosi (e probabilmente da una granata) presenti nell’area, hanno reso impossibile l’approntamento di una linea di contrasto allo sviluppo dell’incendio, funzionale ad impedire l’espansione del fronte di fuoco verso il territorio di Pacentro”. In questo caso viene proposta una sbarra oltre la chiesa di San Giuseppe più in basso rispetto a quella attuale.  In linea generale, inoltre, è necessario regolamentare l’accesso ai veicoli nell’area forestale, mentre è auspicata la manutenzione straordinaria della pista per favorire l’intervento di eventuali mezzi antincendio. Passando ai costi anch’essi variano in base al tipo di intervento. Per il restauro si parla pressappoco di un prezzo che varia dai 5 agli 8mila euro, mentre nel caso di rinfoltimento si parla di 300 piantine a ettaro.

Dai sopralluoghi effettuati dal personale del Parco, tuttavia, la vegetazione non è morta e tra qualche anno non sarà impossibile vedere boschi misti di leccio e roverella per lo più. Ente che attualmente sta lavorando ad un progetto di miglioramento  per circa 500mila euro di fondi ministeriali. Le attività promesse dal Comune di Sulmona sono al palo, nessuna riunione è stata riconvocata a seguito di quella di febbraio rinviata causa spolverata di neve. Dalla Procura, invece, non arrivano notizie.

Simona Pace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 Commenti su "Incendio, il Morrone dimenticato"

  1. Perché non si chiede conto anche al Comitato Giustizia per il Morrone delle azioni messe in atto tra quelle strombazzate nei momenti caldi? La stampa su questo tema è stranamente silente.
    E perché non si chiede a D’Alfonso che fine ha fatto il suo impegno al ristoro delle spese sostenute dai Comuni , oltre che l’incontro con il Ministro Galletti?

  2. Antonio LA Quaglia (Votantonio) | 15 Maggio 2018 at 15:05 | Rispondi

    infatti e perche’ non si chiede conto pure a chi all’epoca dirigeva e presiedeva il parco?

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