La seconda ondata

La seconda ondata della pandemia, inutile illudersi, è appena iniziata ed è destinata a mostrare i suoi effetti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Con la riapertura delle scuole il 24 settembre anche in Abruzzo è caduta nei fatti la rete di protezione del distanziamento, lì dove è stata efficace ed è stata rispettata, perché è fin troppo banale comprendere che i ragazzi, dalle scuole materne alle superiori, non siano in grado di rispettare quelle regole che già di per sé non bastano ad evitare il contagio. Trascorrere ore e ore all’interno di uno stesso ambiente chiuso, con la naturale promiscuità delle relazioni tra giovani, è come mettere benzina sul fuoco; consapevoli che quella benzina serve ad alimentare anche la vita e che, di conseguenza, è inevitabile scottarsi. Gli stessi dirigenti scolastici lo hanno spiegato a genitori e alunni: il rischio zero non esiste e quello della scuola è anche a doppia cifra percentuale. Con il Covid, d’altronde, lo abbiamo ascoltato in tutte le salse, è necessario imparare a convivere; ma c’è modo e modo per rendere questa convivenza il meno traumatica possibile. Un po’ di ottimismo lo danno innanzitutto le cure: anche se nelle ultime settimane il numero dei ricoveri è tornato a crescere, infatti, le terapie messe in campo da marzo ad oggi sono di tutt’altra efficacia. Si muore di meno, ci sono meno ricoveri nelle terapie intensive, si guarisce più facilmente e già questo aiuta ad affrontare questa difficile stagione con meno timore. Il sistema dei tracciamenti e lo sforzo della prevenzione, poi, in attesa magari di test più rapidi, aiutano a intercettare prima i positivi e quindi a controllare sintomi e malattia in modo più efficiente. C’è però una falla nel sistema che più che sanitaria, è di carattere economico. Se durante il lockdown lo Stato è intervenuto in modo massiccio per evitare il tracollo economico del Paese e soprattutto delle famiglie, in questa seconda fase al momento non sono previsti altrettanti paracaduti. Se i dipendenti sono in qualche modo coperti dall’Inail, perché il Covid è considerato malattia, ben diversa è la condizione per i privati, specie per i piccoli imprenditori. Se in una scuola un alunno risulta positivo, infatti, tutto il resto della classe (se non della scuola) e le rispettive famiglie, sono costretti alla quarantena. Per un commerciante con attività a conduzione familiare, ad esempio, questo si traduce in almeno due settimane di mancato incasso (a prescindere se si è positivi o meno). Ma non è tutto, perché anche se non si dovesse avere contatti con positivi, c’è la possibilità che da un giorno all’altro l’attività venga chiusa con le cosiddette misure restrittive aggiuntive. In Abruzzo a farne le spese è stata a settembre la Valle Peligna che con circa 200 contagi nella seconda ondata, si è vista chiudere dalla Regione gli esercizi pubblici alle ore 20 per una settimana in tre Comuni. Al di là dell’efficacia e della necessità della contestatissima ordinanza, nessuno in Regione ha dato risposta ad una richiesta legittima dei commercianti (baristi soprattutto) che hanno perso l’incasso. Nessuno che ha pensato a risarcire, o almeno ad aiutare chi ha dovuto subire questa chiusura forzata. E questa è una falla che va coperta, magari prevedendo un fondo di emergenza. L’alternativa è il collasso del sistema.

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