Laboratorio Corpografie, le recensioni dei primi tre spettacoli

Grande partenza per la VI edizione di Corpografie 2018, che ha dato inizio alle danze con una serata strepitosa. Il formidabile gruppo dei Ketonike ha trascinato il pubblico in un vortice di ritmi travolgenti dove qualunque oggetto o strumento dal timbro vibrante e deciso è stato impiegato dai musicisti per costruire un vero e proprio concerto di percussioni. La danza è stata protagonista della serata grazie ai danzatori dell’Accademia Nazionale di Roma che insieme ai musicisti hanno realizzato in una sintesi perfetta tra ritmo e movimento. Per l’ occasione il laboratorio di Dansomanie 2018 ha prodotto due recensioni distinte frutto di una personale rielaborazione di Ilaria Silvani e Giulia Leone.

TEN

Una sintesi perfetta tra musica e danza in grado di risvegliare nel corpo figure arcaiche e di trascinare lo spettatore in modi lontani. Suoni e rumori si mescolano per creare un ritmo, creato dal nulla, ma capace di farti muovere inconsapevolmente. (Ilaria Silvani)

Percuotere per dare vita, percuotere per generare ritmo e musica, percuotere per significare. Vibrano gli strumenti, vibrano gli oggetti, vibra l’aria e ogni vibrazione viene recepita e compresa attraverso il corpo, che si fa sonoro, come quello dei musicisti e dei danzatori. E la comprensione evoca e ripropone riti ancestrali e sempre nuovi, di guerra, di nozze di corteggiamento, di gioco, riti attraverso i quali l’uomo dà forma alla propria esistenza e si rende propriamente umano, inventando e divenendo ciò che è. (Giulia Leone)

 

La seconda serata di Corpografie 2018, il Festival di Danza Contemporanea di Pescara diretto da Anouscka Brodacz, ha proposto Prelude to persian Mysteries di Sina Saberi e Displacement di Mithkal Alzghair. I due artisti ospiti, il primo proveniente dall’Iran e l’altro dalla Siria, hanno portato lo spettatore verso mondi e culture distanti da noi, in un’immersione mistica e dolorosa al contempo tra suggestione e provocazione. Dalle più remote figure ancestrali dei riti di Zoroastro, alla devastante perdita di identità per guerra, migrazione ed esilio, il corpo danzante dei due performer ci racconta un vissuto estremo e lacerante dove la scrittura scenica ci fa conoscere soluzioni inedite dal timbro raffinato ma deciso.
Per il consueto laboratorio di Dansomanie, le recensioni di Giulia Leone, Simonetta D’Intino e Maristella Mezzapesa ci mostrano le tante suggestioni emotive che i due spettacoli hanno suscitato.

DISPLACEMENT

La perdita di identità è la parola chiave di questa performance. Una performance che si crea da sé attraverso giochi ritmici e movimenti pensati che richiamano e ricreano quegli orrendi scenari di guerra che da troppi anni riempiono le prime pagine dei giornali.
Quelle stesse immagini scorrono veloci negli occhi del performer, segnati da un velo di angoscia e paura unite a un misto di speranza: quella di trovare pace e tranquillità svestendosi dei propri abiti.
La realtà però è ben diversa. Non ci si sveste dei propri abiti, non si abbandonano le proprie radici così facilmente, né tanto meno se ne indossano altri che non ci appartengono.
“Fin quando vivevo in Siria avevo la speranza che il mondo fuori potesse essere migliore. Da quando vivo a Parigi mi sono reso conto di non avere più nessuna speranza.”
Con queste parole l’artista rende esplicito il disarmante messaggio che attraverso suoni e gesti aveva reso performance. (Simonetta D’Intino)

Chi siamo? Chi è ciascuno di noi in un universo pervaso da una guerra che non è padre di tutte le cose, ma generatrice solo di quel ritmo dello spostamento continuo, in luoghi nuovi, in luoghi che non abbiamo il tempo di reinventare e costruire perché la guerra ci insegue (o forse la portiamo dentro di noi) e ci costringe a migrare ancora, a perdere ancora ogni radice, ogni ricordo, ogni tradizione. Chi siamo? Chi sono? Chi siete? (Giulia Leone)

PRELUDE TO PERSIAN MYSTERIES

…proprio quando sembra che l’oscurità abbia distrutto ogni cosa, e appare davvero trascendente, i nuovi semi della luce rinascono dall’abisso. (Philip K. Dick)
Oltre l’oscurità e il silenzio imposti dal regime dell’ignoranza e della paura Sina Saberi cerca, nel profondo della millenaria cultura zoroastriana, i semi di luce necessari a ricostruire un’identità che, attraverso rumori e suoni minimi, prende forma nella penombra, lotta contro l’oscurità e in essa trova il substrato per far risplende se stessa in una danza vorticosa, invasata e illuminante. (Giulia Leone)

Prelude to persian Mysteries. Immaginatevi il viaggio di uomo in una notte illuminata solamente dalla soffusa luce di tre candele. Un corpo che accarezza nostalgicamente il ricordo di un passato invisibile conservato nelle sue memorie. Un luogo investito da onde sinuose e morbide accompagnato dal dolce suono, tradizionale, della sua terra d’origine.
Forse uno dei viaggi più affascinanti che si possano intraprendere, quello alla ricerca delle proprie origini. Un viaggio volto ad esplorare i proprio luoghi significativi, non solo fisici ma interiori, specchio del proprio sé, della propria verità e dei desideri.
Una danza alla ricerca dell’anima, quella di Sina Saberi , che attraversa un passato invisibile e un presente frammentato.
Un inno alla propria terra e alla forza del proprio sentire. (Maristella Mezzapesa)

Un corpo che crea.
Un corpo che trasforma.
Dune desertiche scosse dal vento, un tornado che travolge ciò che incontra in una spirale infinita.
Dapprima il corpo ne è inghiottito, travolto. Un corpo passivo.
Poi è esso stesso che diventa tornado, travolge. Un corpo reattivo.
Gli uragani non si lasciano fermare, avanzano e travolgono.
Una perfomance di notevole impatto visivo che riassume il tutto nell’idea che nella vita o travolgi o sarà la vita stessa a travolgere te. (Simonetta D’Intino)

 

 

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