L’Abruzzo di Franco Loi

A tre giorni dalla scomparsa del poeta lombardo Franco Loi, pubblichiamo uno scritto di Andrea Giampietro che ripercorre il lungo rapporto nel tempo di Loi con l’Abruzzo.

Da sinistra: Achille Serrao, Ottaviano Giannangeli, Giovanni Tesio, Franco Loi e Giuseppe Rosato (Premio “Lanciano”, 2005).

Franco Loi arrivò in Abruzzo da “vincitore”. Era il 26 settembre 1981 e la sua raccolta di versi L’aria, appena pubblicata da Einaudi, si aggiudicò il Premio nazionale “Lanciano” di poesia dialettale. La giuria, presieduta da Mario Sansone, era composta da una “squadra” d’eccezione: Ottaviano Giannangeli, Giuseppe Rosato, Giorgio Barberi Squarotti e Claudio Marabini. Questa la motivazione: “Il libro di Franco Loi si articola in vari momenti in cui si passa dall’esperienza politica alla riflessione esistenziale, specialmente dopo i traumi della morte del padre e di un caro amico dell’autore: riflessione esistenziale che finisce per prevalere e liberare le prove più profonde” (M.L, A Franco Loi il Premio nazionale “Lanciano” di poesia dialettale, in “Il Tempo”, 30 settembre 1981).

Il Premio era nato a Lanciano nel 1966 su iniziativa di Giannangeli e Rosato che trovarono un valido sostegno nel sindaco Errico D’Amico. Come giurati furono coinvolti il cattedratico Mario Sansone, in qualità di presidente, il poeta bugnarese Vittorio Clemente e il gradese Biagio Marin. Quest’ultimo, giunto in Abruzzo per la prima volta, avrebbe testimoniato: “Belle le montagne, bello il mare di Abruzzo, ma bellissima la misura dei suoi uomini e penso che essi costituiscano, con altri uomini viventi in provincia, un’importante riserva di vita per tutta l’Italia” (B. Marin, Ricordo d’Abruzzo, in AA.VV., Discanto, a cura di Pasquale Scarpitti, Teramo, Editrice Sarus, 1972). L’autore di Acqua de magge fu costretto, per motivi di salute, a disertare l’evento già dalla seconda edizione (restò comunque attivo in giuria fino al ‘69), mentre il granitico Marin attese al suo impegno fino al 1972. Il Premio, che negli anni vide un continuo “rimpasto” dei giurati (ad eccezione di Giannangeli e Rosato, nonché di Sansone, che presiedette ogni edizione fino al 1995, poco prima della sua scomparsa), ebbe il merito di imporre all’attenzione nazionale poeti giovani o non ancora affermati, come Cosimo Savastano, Walter Galli e Giovanni Nadiani, e di ribadire il valore di autori già riconosciuti, come Ernesto Calzavara, Albino Pierro e Cesare Vivaldi. Inoltre, in occasione della manifestazione, si tennero, tra il 1971 e il ’74, ben tre Convegni nazionali su Lingua e Letteratura dialettali, i cui atti apparvero sulla rivista “Dimensioni”, diretta da Giannangeli, Rosato e Giammario Sgattoni.

Nel 1986, per la XVI edizione del Premio, Franco Loi fu coinvolto in qualità di giurato. Non si trattò dell’unico caso in cui un vincitore del “Lanciano” entrava nella giuria: si veda l’ortonese Alessandro Dommarco o Achille Serrao, autore nel dialetto di Caivano. Loi ebbe modo di stringere una viva amicizia coi suoi compagni di lavoro. Nel clima goliardico degli incontri lancianesi nascevano preziosi divertissement, come questo in cui Ottaviano Giannangeli gioca sul nome del poeta milanese: “- Scusi, Loi / Franco, Lei / non è mica parente del Loi / della Rai? / – No, Lei / deve sapere che lui / non è del ceppo dei Loi / come noi: / è degli altri Loi, lui… / – Mi scusi, Loi… / Saluti a Lei / e alla “Lei” di Lei, / cioè di Franco Loi…” (Pescara, 1° dicembre 1990). In una lettera allo stesso Giannangeli, del 30 gennaio 1995, Loi sottolineava l’importanza di un maggior interesse dell’amministrazione comunale per le sorti del Premio: “E il nostro Lanciano? Aspetteremo come sempre dicembre? Occorrono altre delibere? Bisognerebbe davvero farlo diventare un premio della città. E non è possibile organizzare incontri di poesia? cicli di conferenze? Sarebbe un modo per coinvolgere finalmente la cittadinanza ad una iniziativa che dura da tanto tempo e che deve diventare sempre più un avvenimento per Lanciano e la cultura nazionale. Possibile che, siano rossi o neri, siano così sordi alla cultura? Bisogna anche premere di più, convincerli che è anche loro interesse valorizzare il premio. E per farlo bisogna organizzarlo prima, pubblicizzarlo, farlo entrare…” (questa lettera, come la poesia succitata, è conservata nell’archivio raianese del Prof. Giannangeli). Il Premio “Lanciano”, seppur con qualche periodo di stasi, avrebbe toccato la XXX edizione nel 2008 (va ricordato il fondamentale apporto, in qualità di segretario, del poeta frentano Marcello Marciani: cfr. M. Marciani, I manovali del Premio, in AA.VV., Un gettone di memoria. 23 voci per Ottaviano Giannangeli, a cura di Andrea Giampietro, Ortona, Ediz. Menabò, 2019).

Particolarmente forte e duratura l’amicizia instaurata con Rosato, per cui Loi scrisse, tra le altre cose, una prefazione alla raccolta Lu scure che s’attonne. Versi in dialetto abruzzese (Rimini, Raffaelli Editore, 2007). Nonostante egli rifiutasse di definirsi un “critico”, lo vediamo esaminare con finezza analitica i temi distintivi della poesia rosatiana: lo straniamento per l’assenza delle persone amate (“Sì, può essere più o meno magnetico, più o meno carico dei nostri ricordi – ma appunto sono i nostri ricordi a dare sostanza al luogo, la memoria delle persone che l’hanno vissuto”), l’incredulità di fronte alle manifestazioni del reale, l’inconsistenza dell’azione come reazione alla vita (“Dunque non la morte, ma l’azione dell’uomo, la sua stessa esistenza giunge effimera alla morte, e la morte è soltanto un sigillo alla vanità del vivere”). La poesia di Rosato citata ad apertura della prefazione sembra presagire quanto sarebbe accaduto allo stesso poeta milanese, condannato a trascorrere gli ultimi anni in uno stato di cecità: “Le sacce: è l’ucchie, è st’ucchie che da quande / me s’à ‘vvecchìte mò me fa vedé’ / quelle che nen ce sta”. In questa messa in discussione della vista, Franco Loi vedeva metaforizzato, da parte dell’autore, “il dubbio della realtà che sta vivendo”. Perché gli occhi veri, forse, restano quelli del Poeta.

Andrea Giampietro

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