Le tre elle

Nel mare di incertezza e preoccupazione in cui rischiamo di annegare, c’è almeno l’ebbrezza di sentirci pionieri di una nuova epoca, un modo diverso di vivere, che probabilmente sarà per sempre così. Non credo che le cose torneranno mai come prima, quando le persone raffreddate starnutivano tranquillamente qua e là, pulendosi il naso col dorso della mano e una linea di febbre non riusciva a intralciare la vita sociale.
Nel futuro, saremo tutti un po’ più educati e accorti. Avremo sempre una mascherina nella borsa, per proteggere le vie aeree nelle resse e per ripararci da aliti e tanfi a cui, negli ultimi mesi, ci siamo facilmente disabituati.
Ma questo futuro, in cui la mascherina la indosseremo per scelta e non per evitare la malattia o una multa, è purtroppo ancora lontano.
Abbiamo vissuto un’estate tutto sommato spensierata, pensando che il peggio fosse passato, minimizzando il problema e sbuffando davanti ai cartelli che ci ricordavano le regole anti contagio.
Ora, come previsto da quelli a cui non ci piaceva dare retta, i contagi e la pressione nelle terapie intensive stanno risalendo e la nostra vita, che cercava di ripartire e trovare un equilibrio in questo strano stato dei fatti, continua a essere stravolta di settimana in settimana da limitazioni, timori e prescrizioni, in ogni suo aspetto.
Ci stiamo abituando a vivere con il fiato sul collo dei decreti governativi, che ci spingono a far tutto subito, a sbrigare ogni pratica, a presenziare a qualcosa, prima che una nuova norma giunga ad annullare, rimandare, chiudere e impossibilitare: “nel doman non v’è certezza”.
Chissà cosa avevamo da lamentarci tanto nella vecchia vita, quando le strade pullulavano di sorrisi, rossetti colorati, gesti spontanei e le sanzioni le rischiavano solo gli automobilisti indisciplinati.
Lo spettro di un nuovo lockdown, che bloccherebbe la diffusione del virus e aumenterebbe l’efficacia del tracciamento dei contagi, ci tiene svegli la notte, le scelte che il governo deve fare per tentare di evitarlo sono difficili e molteplici e ognuna di queste va contro gli interessi di qualcuno. Noi stessi tendiamo a ritenere la soluzione che più fa comodo alla nostra situazione familiare, economica e salutare, come la migliore fra tutte.
Nei programmi televisivi la virologia si scontra con l’economia, quelli che dovrebbero saperne più di noi litigano tra loro e i dubbi che al mattino cerchiamo di dissipare, informandoci qua e là, la sera sono di nuovo nei nostri pensieri, perché il Covid-19 se ne frega dell’istruzione, dell’economia, della socialità e della nostra salute mentale: a lui importa solo di sopravvivere e può farlo unicamente passando da un organismo all’altro, viaggiando dentro le goccioline di saliva.

Il protocollo sanitario lo abbiamo tutti letto e capito: sappiamo cosa fare nel caso un membro della famiglia abbia febbre o un sintomo sospetto. Sulla carta è tutto chiaro, ma sono sicura che, al primo malanno stagionale, si creerà il panico nelle case, perché è tutto troppo nuovo, macchinoso e grande, rispetto alla semplicità a cui eravamo abituati.
Come sembrano lontani i tempi delle “tre elle” sufficienti a contrastare l’influenza: Letto, Lana e Latte. Ora abbiamo le “tre t”: tracciamento, tampone e trattamento.
A Pasqua, distanziati da tutto e tutti, con la scampagnata sul balcone e la Madonna che è scappata in chiesa e non in piazza, eravamo certi che ci saremmo rifatti a Natale e invece anche la festa più sentita e calda dell’anno si preannuncia contingentata, mesta e lesta. Non “con i tuoi”, ma ognuno a casa propria, con le tradizioni ridimensionate, il tavolo della sala non allungato, il trenino di Capodanno fermo alla stazione e le cortesie per gli ospiti chiuse nella credenza.
Come tutti, spero anch’io che non sarà così, che il coprifuoco alla vita sociale, lo smart working incentivato, la Dad e i campetti sportivi vuoti siano un sacrificio collettivo che possa portare a un risultato immediato, evitando chiusure future e ulteriori disastri economici, perché le attività definite “non essenziali”, sono invece essenziali per chi ci lavora.
Ciò che conta è che, quest’anno, sotto l’albero di Natale, ognuno di noi possa avere il regalo più importante: la salute.
Con quella, appena si potrà, recupereremo con gli interessi ogni ballo, ogni aperitivo, ogni vacanza, ogni gol, ogni abbraccio, ogni sorriso e ogni festa che la pandemia ci ha portato via.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

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