Lo scontro su euro/lira finisce in tribunale. Condannato ex candidato a sindaco

I fatti risalgono al settembre del 2014, ma mai come ora, probabilmente, sono attuali: la diatriba tra euro e ritorno alla lira, condita da rivalità politiche di fronti opposti, è finita così in tribunale dove il giudice Concetta Buccini ha condannato ieri l’ex candidato a sindaco di Sel al Comune di Sulmona, Domenico Capaldo, ad una multa di 700 euro per il reato di diffamazione.
Il tutto era partito da un post su Facebook, dove sotto la fotografia di una nostalgica centomila lire un vecchio conoscente di Capaldo aveva commentato come “ai tempi della lira era sempre festa” e a seguire che “erano bei tempi quelli con centomila lire ci facevi un seratone”, “maledetto chi ha tolto la nostra lira” e così via.
Capaldo, un po’ per credo politico, un po’ per ruggine personale, aveva punzecchiato il conoscente che esultava: “Altro che bei tempi – aveva commentato -, con i soldi degli altri tutto si può fare”, ricordando al suo interlocutore che gli doveva 700mila lire da dieci anni per una polizza assicurativa che non aveva mai pagato e che Capaldo (che fa appunto l’assicuratore) aveva dovuto pagare personalmente al suo posto.
Come nel più classico copione da social si era quindi aperto il botta e risposta: “Vergognati“, “Jeteve a nasconn’e” (andatevi a nascondere) da una parte e “Vieni a dirmelo in faccia, tu non ci vieni perché sei un comunista io invece no” dall’altra, con tanto di tifosi da tastiera dall’una e dall’altra parte.
Alla fine, in qualche modo, ha avuto ragione il nostalgico della lira e non solo perché ha ottenuto la condanna di Capaldo, ma perché quelle 700mila lire (di credito) quasi fossero al cambio della storia si sono trasformate in 700 euro (di multa). Una doppia beffa per il compagno Capaldo insomma.
I legali dell’ex candidato sindaco, però, annunciano appello alla sentenza, sulla base di un assunto che potrebbe far scuola, se accolto, in tema di controversie sui social. “Non si tratta di diffamazione – ha sostenuto nell’arringa l’avvocato Stefano Michelangelo che sostituiva il collega Gabriele Tedeschi – ma al limite di ingiuria e quindi non più punibile. E questo perché la diffamazione presume che la persona che si offende non sia presente al momento dell’offesa, mentre come dimostrano i tempi di risposta della discussione la parte offesa era presente e attiva, seppur virtualmente”.
In attesa della sentenza d’appello e nel dubbio, meglio evitare di offendere sui social. Che si tratti di politica o di fatti personali.

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