L’Otto, se è ponte

L’albero di natale e l’Otto dicembre vivono una relazione simbiotica, l’uno ha bisogno dell’altro e lo giustifica come suo complemento.

 

Soprattutto se piove, è freddo e capita di ponte.

 

Nell’aria una tensione rallentata, presagio della festività che sta per compiersi ma che chiede ancora qualche frenesia compulsiva dell’ultim’ora, tipo obbedire alle cose in sospeso come se il mondo finisse a natale. O organizzarsi i giorni che mancano in modo da non avere tempo di pensarci troppo  e rimandarne le faticate decisioni, che fare, dove, nomi, parenti, cose, frutti, fritti e frottole.

 

Ecco allora che l’ansia dell’attesa della festa che, come suggerisce lo Spritz, è essa stessa la festa, si stempera solo nell’operosità del bricolage art&craft, casalingo nei casi più frequenti, fuori dalle mura domestiche nei casi più estremi: in vetrina a scuri spalancati o appena velati da una tenda, open air sui balconi, nei giardini condominiali, nei parchetti rionali, nelle aiuole, sui rami spuntati da un muro pericolante, nel piazzaletto di risulta del bar dei cinesi.

 

Del resto, soprattutto se l’Otto è di ponte, quanto potevi fare in questa anteprima di festa l’hai già fatto, fuori non c’è manco un cane e ognuno sta a casa trafitto dal raggio di lucine dal balcone di fronte.

 

Allora, nell’intermittenza festosa di un pomeriggio uggioso, la mania di lucciconi si impossessa degli animi, anche dei più estranei alle romanticherie, si fa contagiosa come il virus dell’influenza appena passata. Passa di finestra in finestra, di palazzo in palazzo, di social in social. Nei casi di maggior accanimento assume risvolti da competizione: il dirimpettaio ti illumina di blu? Fallo fare. Misurane con calma le fattezze e poi sparagli un albero che ne sono due o tre uno sopra l’altro, che contro il suo misero conad a mezz’altezza lo polverizzi.

 

Vince chi sa aspettare, chi non anticipa l’addobbo cedendo all’impellenza, ma sapientemente l’apparecchia gustandosene i tempi e i riti. Sale per tempo l’albero dalla cantina ma lo lascia a fianco alla porta, imbustato a rami alzati come incaprettato dalla mafia; sveglia dal letargo del soppalco la scatola delle meraviglie argentate, streccia l’intrico di luminarie a pisellini che avrebbe giurato riposte con la meticolosa perizia di chi vuole ritrovarle ordinate, pronte ad abbracciare il pungente finto pino, liberandolo dall’incaprettamento.

E poi, nell’intimità di un pensiero che si fa leggero, come un sindaco che inaugura un bene comune, svergina col cutter il nastro sulla scatola delle palle argentata e dei babbi natalini luminosi, delle pigne dorate, degli angioletti a candelina, delle candeline a stelline di ogni foggia e materia, fino ad arrivare alla stella, biancaneve a cinque punte che attende sul fondo la mano del principe.

E solo quando l’avrà issata, in punta su quel capolavoro adorno di ogni ammennicolo, che gli sparerà un selfie, rapito come ogni creatore della sua creatura. Per condividerlo infine al mondo, adagiandolo come una mamma  il suo piccolo alle giostrine, nella girandola di alberi e pupazzi che impazza sui social. Che fremono intanto, impazienti nell’attesa proprio del tuo, per la classifica degli alberi dai mille Ilike.

Questo è l’Otto, se è ponte.

Per un momento tutti uniti e operosi in un’unica tensione creatrice che illumina il buio, un po’ stralunati, un po’ volenterosi e un po’ vaghi ci accoglie questo natale.

Come mai ansiosi di una favola che, detto fra noi, manco vogliamo che arrivi.

 

Antonio Pizzola

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