Mujeres Colombianas

Vi racconto una storia.
Un Paese dell’America Latina, precisamente la Colombia.
Un governo che presenta una riforma fiscale con prevedibili e inevitabili ripercussioni sulla condizione già stremata e precaria del popolo, al quale il Covid ha giocato un duro colpo.
Migliaia di persone che fanno delle strade un teatro di manifestazioni pacifiche, dove riemerge con forza un malcontento latente (cattiva gestione della pandemia, possibile aumento della privatizzazione del settore sanitario, depenalizzazione dell’aborto …).
La conseguente militarizzazione del Paese con l’ausilio della task force antisommossa ESMAD. 
Ecco, questo è il quadro della nostra storia, o per meglio dire, della storia di una ragazza di 17 anni di nome Allison.
Era un mercoledì, esattamente il 12 maggio 2021. 
Allison stava registrando le proteste per le strade della città di Popayan, quando è stata arrestata da quattro agenti di polizia. 
Il video dell’arresto è stato pubblicato sui social ed è possibile vedere la ragazza che viene trascinata via, presa per le braccia e le gambe.
Allison è stata poi portata in caserma, luogo dove hanno avuto inizio le violenze.
A un certo punto, però, gli agenti si sono fermati perché avevano scoperto che la ragazza è la figlia di un agente di polizia. 
“È”, anzi, ERA
Già, perché purtroppo Allison non ha sopportato le violenze subite e si è tolta la vita inalando del gas propano. 
Le principali organizzazioni colombiane a difesa dei diritti delle donne hanno subito richiesto alle autorità competenti l’avvio di indagini specifiche per far luce su quanto accaduto alla ragazza. 
Lo stupro è una gravissima violazione dei diritti umani, nonché una forma di violenza non solo del corpo ma anche dell’anima. Purtroppo, in contesti bellici, di guerriglie, proteste e quant’altro, la violenza sessuale assume le sembianze di un’arma, tanto da aver assunto negli anni una rilevanza penale autonoma nella cornice, ad esempio, del diritto umanitario, precisamente nello Statuto della Corte Penale Internazionale, sia come un crimine di guerra che contro l’umanità.


“Justicia para Allison” è il grido che ha dominato la protesta di migliaia di donne che sono scese in strada per urlare a gran voce e combattere una doppia battaglia: la riforma del governo e la violenza di genere. 
La storia di Allison, però, non è una storia isolata, infatti, tra le denunce di violenza sessuale, Amnesty International ha riportato quella di una donna che tramite i suoi social ha raccontato quanto le è accaduto:
Il 30 aprile gli agenti dell’Esmad hanno lanciato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. La donna, sebbene avesse le braccia alzate, è stata circondata, separata dagli uomini e violentata da un agente mentre i suoi colleghi stavano a guardare”. 
Da quando le strade della Colombia si sono accese per manifestare contro la riforma avanzata dal governo, dunque (es. innalzamento dell’IVA su beni di prima necessità), si sono verificate uccisioni, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e illegali, nonché violenze sessuali.
Un bilancio non esaustivo ma che ci offre un triste quadro della situazione attuale e dei crimini contro l’umanità e di diritto internazionale che si stanno verificando.
Quella della violenza di genere è una piaga ormai radicata e strutturata nell’America Latina, che brucia i corpi e l’anima delle donne. Donne di ogni età, che pagano sempre il prezzo più alto, anche se al contempo sono le prime ad alzare la testa e gridare BASTA.
Anche in Colombia, il lockdown, e più in generale la pandemia, ha assestato un duro colpo alle già eclatanti disuguaglianze di genere, alle discriminazioni sistemiche e alla violenza.
Si sono infatti registrati aumenti dei casi, ma, tuttavia non vengono denunciati perché fattori come mancanza di sicurezza e di giustizia, stigma, vergogna, povertà, inefficienza delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine, cultura machista, dissuadono le donne.
Inoltre, solo nel 2020, ci sono stati più di 200 femminicidi, numero al quale non è calcolato il sommerso di questa realtà.

Ciò che sta accadendo in Colombia sta cadendo in un triste silenzio, come anche queste storie che, seppur tristi e brutali, rappresentano le storie di migliaia di donne ed è importante raccontarle, per loro e per noi, per una presa di coscienza, per conoscere e schierarci dalla parte giusta. 
Accendere i riflettori su realtà fisicamente a noi lontane è un dovere. 
“(..) Molti osservatori e organismi internazionali hanno lanciato ripetuti allarmi sulla repressione sproporzionata, come emerge da numerosi video e denunce (..) a Tunja, nel centro storico coloniale, 5 giovani studentesse sono state picchiate a manganellate” – Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani.

No olvidaremos, Allison.

Per una riflessione più attenta, vi consigliamo Le guerre delle donne, un libro di Emanuela Zuccalà, con il patrocinio di ActionAid, Cospe, Cuamm, Intersos, No Peace Without Justice, WeWorld, Zona. Un libro che racconta trenta donne, trenta voci da ogni angolo del mondo, che si uniscono in un solo grido per dire no alle ingiustizie e alla violenza, raccontando, tramite reportage e colloqui intimi, le loro storie e le violazioni sistemiche dei diritti delle donne, regalandoci ritratti profondi e indimenticabili.

Giulia Di Petrucci

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