Nazifascismo e persecuzioni, la lezione di Modiano

La temperatura non è delle più ideali: un guasto all’impianto di riscaldamento tiene gli studenti e gli ospiti del cinema Pacifico al freddo fino alle 11 passate. Ma a scaldare la platea c’è uno degli ultimi superstiti dei campi di sterminio, quello di Auschwitz. Sami Modiano, ottantotto anni e una memoria lucida, che “magari dimentica quello che ho mangiato ieri – dice – ma non quanto accaduto ottanta anni fa”.

Nel giorno della celebrazione del settantesimo anno della Dichiarazione universale dei diritti umani, ieri, quell’anziano signore che porta i segni della discriminazione razziale indelebili dentro di sé, racconta agli studenti del liceo Vico come a lui e a milioni di persone sia cambiata improvvisamente la vita, da un giorno all’altro, senza neanche che se ne avesse coscienza. Dalla notte alla mattina, quando il risveglio nell’isola che al tempo era territorio italiano, vennero emanate le leggi razziali.

Abitava a Rodi Samuel, figlio di Giacobbe, che dai nomi si capisce la discendenza e la “colpa”, quella che per i nazi-fascisti era una colpa: essere Ebreo. “Prima mi dissero che non potevo più andare a scuola – racconta – avevo appena otto anni e volevo studiare, mi piaceva studiare. Ma non mi fu più permesso”. Poi il ricordo prepotente del rastrellamento fatto con l’inganno e del viaggio da incubo che per sette giorni lo vide ammassato con altre duemiladuecento persone, ebrei, su quattro navi cargo. “Dopo aver sequestrato i capifamiglia, ci dissero che dovevamo presentarci in caserma, perché la patria aveva bisogno di noi”.

Era il 1944, “il 23 luglio – scandisce Modiani – e chi se lo scorda. Ci imbarcarono su queste navi dove fino a poco prima erano stati trasportati gli animali, con urine e feci ancora dovunque. Avevamo cinque secchi d’acqua a disposizione, per centinaia e centinaia di persone, niente cibo e un bidone per fare i nostri bisogni. I morti, chi non ce la faceva, veniva buttato in mare. In quel momento ho ringraziato il Padre Eterno per aver fatto morire prima mia madre che soffriva di cuore, se fosse sopravvissuta oggi non avrei neanche una tomba su cui piangerla”. Una settimana di viaggio e poi in treno verso l’inferno: il campo nazista di Birkenau, Auschwitz. Da quel campo Sami Modiano uscirà vivo, stremato ma vivo. Uno dei pochi a salvarsi in quella follia razzista che oggi, nelle cronache anche delle ultime ore con le pietre dell’inciampo violate a Roma, sembra non essere stata ancora di lezione per l’umanità.

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