Papà è tornato a casa

Vi scrivo dalla trincea.

L’altro ieri 24 aprile, è tornato a casa dopo quasi un mese mio padre, l’agente di polizia penitenziaria risultato positivo al Covid-19. Ad accoglierlo l’intero vicinato, che mantenendo le dovute distante e rispettando le regole del decreto ha allietato il ritorno con musica, palloncini e striscioni (guarda video nella sezione “de visu”). Una vicinanza tale da aver fatto commuovere e un’emozione indescrivibile per la famiglia dell’agente, ovvero la mia. In questi giorni, più volte, ho sentito persone che si dichiaravano in trincea per l’emergenza Covid. Ma lo sapete cosa vuol dire stare in trincea durante questa emergenza? Cosa vuol dire stare con il fiato sospeso, sperare che la respirazione vada per il meglio e che la terapia funzioni senza complicazioni? Vuol dire stare lontani pur stando dentro la stessa casa, comunicare con la propria madre attraverso una porta che deve essere rigorosamente chiusa; parlare con vostro padre attraverso uno schermo durante l’ora di pranzo; dover negare a vostro fratello di dieci anni un abbraccio per paura di metterlo in pericolo, vuol dire sperare ogni giorno, prima di ogni chiamata, di non ricevere cattive notizie; vuol dire avere la costante paura che un respiro possa essere sbagliato, che l’aria che entra nei polmoni non sia sufficiente per far stare bene il corpo, avere paura che quella persona che sta lontana da te oggi la senti per telefono e domani puoi non sentirla perché attaccata a qualche respiratore. Stare in “trincea” vuol dire lottare con le armi possibili, armarsi di disinfettante, candeggina, guanti e mascherina.


Io ho diciotto anni, la maturità da affrontare e la trincea l’ho vissuta davvero, per ventiquattro giorni. Mio padre è risultato positivo al Covid-19 e ricoverato in ospedale prima ad Avezzano e poi a L’Aquila, mia madre anche, ma essendo asintomatica è rimasta a casa in isolamento dentro la sua camera. La responsabilità era la mia, le abitudini che fino a quel giorno avevo sono state rivoluzionate da altre. In casa eravamo tre, e mio padre ironicamente dice che siamo tre carabinieri, due allievi e un maresciallo che sarei io: per ventiquattro giorni ho comandato, per far tornare papà a casa in sicurezza e far guarire mamma senza che noi ci contagiassimo, e ci sono riuscita, nonostante la paura che non davo a vedere. Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco persone che hanno fatto di tutto pur di farmi sorridere, per non farmi pensare a quello che stava accadendo anche solo per qualche minuto, i miei docenti mi hanno aiutato tanto, hanno capito perfettamente la situazione e non mi hanno abbandonata. Un ringraziamento particolare vorrei farlo a quella “ventina di persone che l’agente ha intorno”, e ribadire che quelle persone sono la famiglia, e non persone qualunque da sminuire o screditare, quelle che non ti abbandonano e che si fanno in quattro per aiutarti, ringrazio anche quegli Amici che non mi hanno abbandonata o addirittura peggiorato la mia situazione di ansia e attacchi di panico continua che vivevo, se siamo e se sono riuscita a vincere questa battaglia è anche merito vostro. Grazie.
Annarita Cirstensiense

3 Commenti su "Papà è tornato a casa"

  1. Publio Vettio Scatone | 26 Aprile 2020 at 07:38 | Rispondi

    “Tutto è bene quel che finisce bene “ (William Shakespeare)…
    Queste sono esperienze che fortificano l’animo e ci aiutano a crescere.
    Prendiamo coscienza della sofferenza di tutte le persone che ogni giorno lottano
    contro una malattia, a volte lasciate sole dall’indifferenza di parenti e Istituzioni.
    Auguri per la “ tua “ maturità scolastica…perché l’altra te la sei guadagnata strada facendo.

  2. Brava Annarita!Sei l’esempio rassicurante di come ci siano ancora giovani responsabili e sani. Affettuosi auguri per la maturità scolastica, mentre quella nella vita hai ampiamente dimostrato di averla già conseguita.Auguri al tuo papà,alla mamma e al fratellino. Di ❤

  3. Siamo davvero felici per voi!!! Un abbraccio forte forte da Milano!

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