Parole

Quante migliaia di parole diciamo ogni giorno? Parole belle, brutte parole, parole bugiarde, paroline e parolacce.
Fra il “Buongiorno” del mattino e il “Sogni d’oro” della sera, ci sono chilometri e chilometri di parole, scritte e orali, sussurrate e urlate, dette e pensate, cantate e mimate con sguardi, braccia e dita.
Discorsi recitati davanti allo specchio, per controllare quanto siamo convincenti mentre raccontiamo certe cose e preghiere fatte guardando il cielo, sperando di essere ascoltati ed esauditi per una volta.
Le parole ci permettono di entrare in relazione con il prossimo, mettendoci in contatto con la parte dell’altro che gli occhi non riescono a vedere e le mani non possono sfiorare.
Non importa se “verba volant”, anzi forse è proprio questa la loro bellezza: il librarsi intorno a chi ascolta, come leggiadre farfalle variopinte.
Cerchiamo ogni giorno un punto di contatto con gli altri, anche con gli estranei in fila alla posta. Ne abbiamo bisogno per non sentirci soli, per fare nostra una battuta da utilizzare a tempo debito o per rubare un sorriso in mezzo a tanti bronci annoiati.

Ci apriamo, ci confidiamo, ci raccontiamo, ma questo serve solo ad alleggerirci un po’. Affidiamo i nostri discorsi chilometrici a chi speriamo possa prendersene in carico almeno qualche metro.
Però, quel mare di parole è troppo vasto per essere capito tutto: la gente ci annega dentro e, dopo un po’, smette di ascoltare, oppure tenta di interromperci per cambiare argomento. C’è sempre un fenomeno atmosferico del quale discutere, per levarsi dagli impicci.
Noi questo lo sappiamo, ma continuiamo a parlare, perché abbiamo bisogno di sentire ancora una volta, dalla nostra stessa voce, quel ragionamento che ormai non ci convince più.
Quante chiacchiere, sempre le stesse: -Bla bla lavoro, bla bla prezzi, bla bla tasse.
Con il desiderio di raccontare finalmente tutta un’altra storia, con un nuovo tono di voce. Finché, un giorno, qualcosa ci distoglie da tutto il resto. Una coppia di passeri decide di fare il nido sul davanzale della nostra finestra, oppure una bimba di pochi mesi, tra la folla, sorride e tende le braccia proprio verso di noi. Ci sentiamo scelti. Finalmente preferiti da qualcuno. In quel momento, ci ricordiamo che la vita è fatta soprattutto di cose belle e ci destiamo, sorridiamo, ci guardiamo intorno cercando parole nuove, in grado di descrivere ciò che proviamo davvero, senza le solite scuse, oltre le chiacchiere e le vecchie paure.
Abbiamo bisogno di tacere un po’, per riuscire a sentire, ascoltare e finalmente capire, attraverso altre storie, anche quella nostra.
Che le parole siano deteriorabili è un dato di fatto, altrimenti utilizzeremmo ancora i “vaffanciccio”, gli “stupida” e gli “scemo” che imparammo all’asilo per litigare con qualcuno, invece non bastano più.
Potrebbe sembrare una caratteristica negativa delle parole il loro consumarsi nel tempo, fino a perdere senso e potenza, ma non è così, perché in realtà siamo noi a essere cambiati negli anni e adesso alcune parole -quelle meno elastiche- ci stanno strette, esattamente come certi vestiti.
Avrebbero bisogno di manutenzione le parole, soprattutto quelle che ci urliamo a vicenda. Basterebbe rinnovarle ogni tanto, per evitare che diventino inesatte e inutili.
Una parola sbagliata non può identificarci né descriverci, ma soprattutto non può ferirci: ci rimbalza inutilmente addosso, proprio dove erano i lividi che in passato ci aveva procurato. È una partita di “palla prigioniera” che, imprevedibilmente, ci fa sentire libere.
Si erge imponente intorno a noi l’antico e ancora efficace “specchio riflesso infrangibile” che invocavamo da bambine, quando qualcuno ci diceva le cose brutte.
Il “Tu l’hai detto e tu ci sei” megagalattico e supersonico, che risolveva velocemente ogni discussione, senza toglierci il sorriso e poi di corsa a spettinarci sull’altalena, fino a sentire il mal di mare, fino a farsi girare la testa o fino a che la cena fosse pronta, annunciata da nostra madre che urlava dalla finestra la parola più vera, l’unica in grado di descriverci senza errori: il nostro nome.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

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