Piero Di Nino condannato per estorsione. Ma non ci fu voto di scambio

Tre anni e nove mesi di reclusione per estorsione e violazione della sicurezza dei lavoratori e l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” per l’accusa di truffa e falso, ma soprattutto per quella di violazione dei diritti politici, ovvero per aver costretto i suoi dipendenti a votare nel 2010 per la figlia Antonella alle elezioni provinciali.
Il giorno più lungo per la famiglia Di Nino si è concluso solo in tarda sera, oggi, dopo una camera di consiglio durata oltre quattro ore e circa sei ore di arringhe del pubblico ministero e degli avvocati.
Piero Di Nino, titolare dell’omonimo gruppo autotrasporti, per il quale il pubblico ministero aveva chiesto nove anni di reclusione, è stato condannato, come detto, a tre anni e nove mesi di reclusione, oltre a dover risarcire, insieme al fratello Stefano, le parti civili (in separata sede).
Secondo il giudice Piero Di Nino si è reso responsabile in almeno due degli episodi contestati di estorsione, ovvero di aver costretto i suoi dipendenti ad installare dei magneti sui mezzi della ditta per taroccare gli orari di lavoro e di pausa, minacciandoli, se non avessero obbedito, di farli lavorare di meno o per niente. Con lui erano accusati di estorsione, ma sono stati assolti per questo, il fratello Stefano Di Nino e tre dipendenti: Attilio D’Andrea, Marco Caldarozzi e Natalino Liberatore.
Le altre condanne, più lievi, hanno riguardato la sola accusa di violazione della sicurezza dei lavoratori, accusa sempre legata alla vicenda dei cronotachigrafi manomessi, e hanno visto la condanna a nove mesi di reclusione di Stefano Di Nino e a sei mesi dei quattro autisti Ottavio Fernando Pisegna, Marco Amiconi, Angelo Santilli e Angelo Campellone.
Infine l’assoluzione per l’accusa di truffa e falso per aver cioè contraffatto dei documenti per evitare delle multe e, per il solo Piero Di Nino, quella per la violazione dei diritti politici.
Che poi era l’accusa più imbarazzante dal punto di vista politico, tanto più che la sindaca di Pratola (non indagata) è oggi candidata alle elezioni politiche al Senato per Forza Italia.
Un processo infinito, quello dei Di Nino, che oggi è arrivato alla sentenza di primo grado, dopo essere passato già per un non luogo a procedere deciso dal Gup di Sulmona, per la Cassazione che aveva annullato quella sentenza e oggi davanti al tribunale di piazza Capograssi.
Un processo dai toni molto aspri, apertosi a seguito di un’indagine compiuta dalla polizia stradale di Pratola Peligna a sua volta nata a seguito della denuncia di due dipendenti che, con i Di Nino, hanno un lungo contenzioso sia civile che penale.
E il procuratore Bellelli non ha risparmiato nella sua arringa toni pesanti, definendo la famiglia Di Nino simili ai padroni degli anni Trenta, con la difesa a contestare le accuse mosse, soprattutto evidenziando la non attendibilità dei denuncianti.

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