Il giorno più lungo per la famiglia Di Nino si è concluso solo in tarda sera, oggi, dopo una camera di consiglio durata oltre quattro ore e circa sei ore di arringhe del pubblico ministero e degli avvocati.

Secondo il giudice Piero Di Nino si è reso responsabile in almeno due degli episodi contestati di estorsione, ovvero di aver costretto i suoi dipendenti ad installare dei magneti sui mezzi della ditta per taroccare gli orari di lavoro e di pausa, minacciandoli, se non avessero obbedito, di farli lavorare di meno o per niente. Con lui erano accusati di estorsione, ma sono stati assolti per questo, il fratello Stefano Di Nino e tre dipendenti: Attilio D’Andrea, Marco Caldarozzi e Natalino Liberatore.

Infine l’assoluzione per l’accusa di truffa e falso per aver cioè contraffatto dei documenti per evitare delle multe e, per il solo Piero Di Nino, quella per la violazione dei diritti politici.
Che poi era l’accusa più imbarazzante dal punto di vista politico, tanto più che la sindaca di Pratola (non indagata) è oggi candidata alle elezioni politiche al Senato per Forza Italia.

Un processo dai toni molto aspri, apertosi a seguito di un’indagine compiuta dalla polizia stradale di Pratola Peligna a sua volta nata a seguito della denuncia di due dipendenti che, con i Di Nino, hanno un lungo contenzioso sia civile che penale.
E il procuratore Bellelli non ha risparmiato nella sua arringa toni pesanti, definendo la famiglia Di Nino simili ai padroni degli anni Trenta, con la difesa a contestare le accuse mosse, soprattutto evidenziando la non attendibilità dei denuncianti.
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