Quel che resta

Prima di smontare tutto, spegnere le luci colorate e divorare l’ultimo pezzo di torrone, vorrei tirare le somme del Natale appena trascorso.
È iniziato in sordina, con i miei figli che non volevano saperne dell’albero di Natale, perché “Siamo grandi!” e io che tiravo un sospiro di sollievo, visto che arrampicarmi sul soppalco per tirar giù chilate di ammennicoli sbrilluccicanti, non è fra le priorità della mia vita. È una cosa che faccio per amore degli altri, per creare l’atmosfera giusta, ma se la guastano a priori perché “sono grandi”, non ne vale la pena.
Non volendo però darla vinta al cinismo e alla pigrizia, ho inventato un albero di Natale alternativo, puntando un proiettore di luci colorate a intermittenza verso la porta finestra. Et voilà: dall’esterno sembrava ci fosse uno sfarzosissimo abete decorato nell’ingresso.
Visto dall’interno, invece, l’ambiente era molto simile a una discoteca e anche di questo abbiamo gioito.
Per la cucina, cuore della casa, ho acquistato un piccolo alberello di plastica e qualche pallina colorata a pochi euro. A Roma, “Spelacchio” della sindaca Raggi era rigoglioso a confronto, ma ci ha tenuto tanta compagnia durante i pasti, con i suoi pochi rami, le sue poche palle e le sue poche pretese.
Acclamate dagli studenti, sono arrivate le vacanze scolastiche: “ Studia! -Inizio domani” è stato un dialogo molto gettonato in casa.
Di corsa a preparare ogni cosa, perché tutto fosse al posto giusto e ognuno avesse un pensierino da scartare e un bacio da ricambiare sotto l’albero alternativo.
Il 25 è giunto in fretta, da passare in famiglia, come ci piace e come è giusto che sia. I pranzi, le cene, i dolci, i brindisi e i nipotini con i sorrisi enormi. Per fortuna ci sono i bambini.
Ho cercato di fare del mio meglio, anche se non basta mai, anche se i miei figli sono ormai cresciuti e fanno sorrisi grandi, ma non più enormi.
Li guardo e sono felice. Li guardo e vorrei farli felici. Ho bisogno di sentire la loro risata, di vederli circondati di gioia, affetto e amici.
Vorrei riuscire a rimproverarli e abbracciarli con la stessa forza con cui li amo, ma non ci riesco.
Più crescono, più mi si piantano nell’anima e mi sento vulnerabile, col terrore di non fare bene, di non poter fare di più, di non riuscire a fare il massimo per loro.
I regali, certo: le scarpe, il giubbino, il maglione e tutto quello che ho potuto depennare dalla lista dei loro desideri e necessità. I cibi che preferiscono, i vestiti lavati, stirati o rammendati all’occorrenza e la mancia del sabato sera, ma non è sufficiente, non basta. Non è solo questo.

Il piccolo miracolo di Natale lo abbiamo avuto grazie alla mancanza di connessione wi-fi per tutto il periodo delle feste. Ve la immaginate una casa con due adolescenti e senza wi-fi? Il miracolo è stato proprio l’essere sopravvissuti a ciò.
Fra un cece ripieno e uno scarpone è arrivato il momento delle lenticchie.
-Che fai a Capodanno? Ma soprattutto: a che ora torni?
Dopo pochi giorni è scesa la neve: bianca, leggera, pura, fredda, prevista e dispettosamente accavallata alle vacanze già in corso.
Il Cogesa non è passato, proprio quando ne avevamo più bisogno, circondati come eravamo di carte da regalo, confezioni di plastica e bottiglie di spumante: l’immondizia ha invaso le case, ma siamo stati felici ugualmente, perché la coltre bianca si è poggiata su ogni cosa, esaltando la bellezza di quelle belle, nascondendo le brutte e congelando i problemi.
Ultima, ma non per questo meno agognata, è arrivata la Befana, che da qualche anno vogliono farci credere giovane e sexy, invece è sempre la vecchina bruttarella, con le scarpe tutte rotte, che si introduce nottetempo in casa a lasciare euri, carbone dolce, mandarini e cioccolato.
L’Epifania ogni festa dovrebbe portare via, invece al supermercato ci sono già le zeppole di Carnevale e i cuori di San Valentino: non esiste riposo per chi ha voglia di festeggiare.
Siamo già all’otto gennaio, è giunto il momento di riporre il proiettore e l’alberello in soffitta. Nell’adempiere a questa incombenza, mi viene spontaneo pensare a cosa resti di questo Natale, oltre a quel panettone con i canditi, che nessuno ha mai preferito agli altri ricoperti di glassa al triplo cioccolato carpiato con avvitamento a destra.
Resta sicuramente il calore di cui ho goduto, resta il solito timore di non aver fatto abbastanza e l’intenzione di fare di più. Restano un paio di chili sui fianchi, restano ghiaccio e fango per le strade.
Un altro Natale è passato, certamente non invano, a scolpire altri ricordi dentro di noi, come tessere di un puzzle che si va via via componendo, svelando un’immagine che ora non riusciamo a vedere, ma che nessuno può impedirci di sognare bellissima.

gRaffa
Raffaella Di Girolamo

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