
La giustizia presenta il conto a Massimo Di Girolamo, cinquantenne, condannato a un anno e tre mesi di reclusione per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. La sentenza per l’imprenditore, originario di Ceccano ma risedente a Sulmona, è arrivata questa mattina dal Tribunale peligno. Ad infliggerla il giudice Francesca Pinacchio, che condanna Di Girolamo per le condizioni di lavoro di un suo dipendente, un guineano che lavorava come pastore nell’azienda dell’imprenditore.
Il giovane venne fermato nel 2018 dai carabinieri della stazione di Goriano Sicoli durante un pattugliamento sul territorio. Portato in caserma e identificato, il pastore raccontò delle miserabili condizioni di lavoro, con una busta paga di appena tre euro l’ora per accompagnare le pecore al pascolo. A ciò si aggiunsero anche le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versava l’appartamento dove risiedeva il giovane. Testimonianza che portò i militari dell’Arma al blitz per verificare lo stato dell’azienda ed acquisire la documentazione necessaria per il rilevamento delle criticità.
A poco è valsa la tesi difensiva dell’avvocato Maria Alba Cucchiella. Per il legale di Di Girolamo, non ci sarebbero riscontri sulle dichiarazioni del giovane pastore, che avrebbe potuto svolgere le proprie mansioni solo in un determinato orario. A detta dell’avvocato difensore, DI Girolamo avrebbe anche pagato di tasca propria le utenze dell’appartamento riservato al suo dipendente.
Ancor più salato potrebbe essere il prossimo conto che Di Girolamo dovrà pagare alla giustizia. L’imprenditore dovrà presentarsi davanti la corte il prossimo 2 ottobre, quando si terrà la prima udienza per la morte di un altro suo dipendente originario della Guinea, Ousmana Kourouma. Il ventitreenne, anch’esso pastore di mestiere, perse la vita nel 2019 all’interno dell’azienda agricola di Goriano Sicoli.
Un’intossicazione da monossido di carbonio stroncò il pastore. Questo quanto stabilito dal medico legale, Luigi Miccolis, dopo l’autopsia sulla salma. Una fine indegna, causata da un braciere acceso all’interno di quella angusta stanza nella quale cercò riparo dal freddo.
Una fine sulla quale la procura della repubblica di Sulmona ha voluto far luce. Il giovane non aveva una casa dove alloggiare, se non quello stanzino rimediato che si è trasformato nella sua tomba.
La procura contesta a Di Girolamo di aver procurato la morte del giovane. La sua colpa, leggendo gli atti, sarebbe il “non aver garantito al giovane immigrato tutte le tutele di sussistenza richieste”.
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