Ufo di pecora

 

Quando quel funesto lunedi di fine estate fu avvistato sul cielo pratolano un veicolo misterioso, nessuno poteva nemmeno immaginare cosa ne sarebbe venuto. Nemmeno il giovane che l’aveva ripreso e pubblicato su youtube, bollandolo non senza ironia da cinismo abruzzese, Ufo.

 

Fu solo l’inizio.

 

Giorni dopo un pastore di quelle zone tornando a casa con il suo gregge s’imbattè in uno di quegli strani velivoli che gli sparò un raggio di luce intensissima, accecandolo. Immediatamente l’albero sotto cui il pastore riposava s’incendiò, propagando il fuoco rapidamente verso il bosco, arrostendo le pecore e tutta la vegetazione circostante. Naturalmente nessuno credette alla storia che il pover’uomo raccontò alle forze dell’ordine quando lo rinvennero stordito e accecato ai piedi di quell’albero carbonizzato: per pregiudizio unanime zi Ndonio il pastore era il piromane del Morrone.

Se non fosse stato che i centralini delle forze dell’ordine cominciarono ad intasarsi di segnalazioni e richieste di aiuto: il cielo peligno si era riempito di strani oggetti volanti che sputavano fuoco come mazinga incazzati.La scena che si parò dinanzi agli occhi dei poveri agenti accorsi sui luoghi del disastro era di un film di fantascienza: dalle pance aperte di quegli Ufo come Ottovolanti sospesi a mezz’aria scendevano avvolti di raggi di luce strani esseri stretti e lunghi, tipo ghiaccioli, con un po’ di massa attorno allo stecco centrale, a mo’ di kebab, ma magri: insomma, tipo arrosticino.

 

Fu il primo incontro ravvicinato del terzo tipo: da una parte i pratolani, dall’altra gli extraterrestri a forma di rostella, i Rustellani, come li avrebbero chiamati di lì a poco.

I Rustellani non parlavano alcuna lingua umana ad eccezione del dialetto pratolano che avevano imparato in un attimo, assorbendolo dal contatto con il primo umano che avevano incontrato, Zi Ndonio il pastore abruzzese tramortito sotto l’albero delle Marane

Chi sono, chiesero i compaesani raccoltisi attorno a zi Ndonio, eletto mediatore suo malgrado. Zi Ndonio, discusso con gli extraterrestri, si rivolse ai suoi simili e con voce ferma di chi sa quello che accade e sentenziò in un dialetto spinto che si traduce all’incirca così:

Vengono da Encelado, luna di Saturno, e sono del tutto simili a noi, ma con una peculiarità: si nutrono solo di arrosticini di pecora (rustelle, disse), tanto da assumerne le sembianze: senza di questi sono destinati all’estinzione. Il problema è che un asteroide che transitava dalle loro parti è entrato nella loro orbita attirando nel suo campo magnetico tutte le pecore del loro pianeta, lasciandoli a corto di nutrimento. Costringendoli a vagare nella galassia per cercare un posto in cui se ne trovassero, per emigrarci in blocco. La brutta notizia è che il loro pianeta è dieci volta la Terra e loro sono 17 miliardi di esemplari.

Magri, ma pur sempre 17 miliardi.

 

E vogliono emigrare qui? Chiese un compaesano.

 

Bravo, rispose zi Ndonio, ieratico. Se gli rispondiamo tornatevene a casa vostra ci pisciano un raggio colorato dalle navicelle e ciao Valle Peligna. Il rogo sul Morrone, in confronto, una scaldatina alla legna prima della brace.

– Perché sono stati loro a bruciare tutto? – domandò un altro compaesano.

– E chi sennò,  – s’inalberò Zi Ndonio – si nutrono di rostelle, senza brace come le arrostiscono?

Poi, rivoltosi agli alieni, guardandoli ad uno ad uno nello stecco come a contarli, provò ad obiettare: ma dove li troviamo tutti ‘sti arrosticini?

– Affar vostro, rispose con voce sintetica quello che sembrava il capo – clonatevi le pecore vere finchè ne avete. Tante pecore, tanti arrosticini. Mi raccomando, cottura media, un cartoccetto a pasto e conviviamo tranquilli. Che se vi finiscono le pecore, spiacenti, ci tocca arrostire voi, l’unica carne in tutta la galassia col sapore della rostella.

I peligni cominciarono a guardarsi disperati, dapprima cercando soluzioni alternative. Poi, non trovandone, presero ad azzannarsi l’uno con l’altro, suggerendo ai carnefici chi sacrificare, prima gli immigrati, poi i pacentrani, i bagnaturensi, i pettoranensi e poi a seguire, suocera, moglie, politici, confinanti, gli impiegati di equitalia, e via così fino a che gli alieni si stancarono di aspettare.

Senza accordo, gli extraterrestri affamati se li sbranarono tutti in un solo picnic la domenica stessa.

Poi, mentre digerivano sdraiati su un prato rinsecchito di Fonte d’Amore, li avvisarono da Saturno che l’asteroide che gli aveva rubato le pecore era finito nell’orbita di Giove. Così, come erano arrivati, sbaraccarono contenti e, a pancia piena, e se ne ripartirono.

Lasciandosi dietro le spalle una valle desertificata, zi Ndonio il pastore e Carolina la sua pecora preferita che aveva nascosto in un hotel a 5 stelle.

A loro il compito di generare la nuova stirpe peligna.

 

 

Antonio Pizzola

 

 

 

 

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