Un anno

E’ successo oggi, un anno fa: il 9 marzo del 2020, mentre si sorrideva su quello strano modo di salutarsi con gomiti e pedate, l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte annunciava il lockdown per tutto il Paese. Dopo che il Covid, al tempo Coronavirus, era sceso da Nord a Sud e passato da estremo Oriente ad Occidente. L’inizio di un tunnel lunghissimo e dolorosissimo, da cui solo ora, da lontano, ancora troppo lontano, si intravede la luce. Con le tenebre che però sono ancora tutte intorno e che continuano a fare paura e morti e ricoveri.

Nell’area peligno-sangrina i positivi in un anno sono stati 3253, quelli rilevati almeno, perché tanti il virus lo hanno avuto senza saperlo, qualcuno forse c’è anche morto senza che gli sia stato diagnosticato. Quasi 15mila casi in tutta la provincia, due terzi dei quali negli ultimi cinque mesi, quando cioè anche in Abruzzo e nelle aree interne la pandemia ha cominciato a fare sul serio. Circa 58mila in tutta la regione.

I morti sul taccuino del nostro territorio sono ad oggi 60: 47 nell’area peligna e 13 in quella sangrina che è stata la prima, in ordine temporale, a sacrificare una vittima al virus.

Ed oggi, dopo un anno esatto, siamo ancora qui, come fosse passato un secolo. Con gli stessi annunci di imminenti chiusure, di “ultimi sforzi” e “ultimi sacrifici”. Con un bagaglio di gergo scientifico, più che di conoscenze, con il quale abbiamo imparato a convivere: negativi e positivi, polmonite bilaterale e interstiziale, anosmia e ageusia. Sintomi di un male che ha strappato affetti e amicizie, che ha ridotto la nostra quotidianità a gesti distanti e frequentazioni indispensabili.  Ancora oggi, con tre miracolosi vaccini in distribuzione, a contare i respiri dei tanti che si trovano ricoverati: 46 al momento del Centro Abruzzo, con 2 pazienti peligni in terapia intensiva e 44 (37 peligni e 7 sangrini) in medicina Covid. Tra loro non più e non solo anziani, ma anche tanti giovani, con l’incognita delle varianti che si è già dimostrata devastante. 

Gli ospedali, di nuovo, tutti pieni e le scuole, di nuovo, tutte chiuse. Ad arrabbiarci come allora, con il solo vero fine di assolverci per colpe che non abbiamo, ad imprecare contro runner piuttosto che contro ragazzini in scampagnata a San Cosimo. Spesso solo per trovare un capro espiatorio.

E quello che verrà e dovrà venire ancora, al di là dell’evoluzione sanitaria: i dipendenti che saranno licenziati presto o tardi, le attività che chiuderanno e quelle che hanno già chiuso, le vite e la fiducia nel prossimo da ricostruire. La speranza di rinascere dalle ceneri come un’Araba Fenice.

Mai più tra un anno.

2 Commenti su "Un anno"

  1. “ Chi di speranza campa, disperato muore “.
    E continuiamo ad aspettare i miracoli; bisogna darsi da fare, se si vuole che qualcosa accada.

  2. Già… Un anno. Come un lungo e faticoso inverno della vita. E purtroppo, anche a guardar fuori dalla finestra, la primavera, con la sua luce e la sua voglia di rinascita sembra ancora molto lontana…

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