Questa, infatti, è quella di Marco, romano di Roma, e di Maria Stella, di Vittorito emigrata nella capitale per lavoro. Un amore, il matrimonio, il lavoro e i ben noti ritmi romani, frenetici e stressanti, sopportabili fino a quando non sono arrivati in casa dei bambini. I ritmi sono diventati davvero troppo, troppo veloci per uno stile di vita adatto ad una famiglia.
La scelta, così, è stata quella di tornare in paese per una esigenza lavorativa, certamente, e per provare a
“Consiglierei a chi abita qui – propone Marco – di prendere maggiore consapevolezza del luogo in cui si trova apprezzando quello che dà, la gente sembra quasi assuefatta nel viverci e mi chiedono come ho potuto trasferirmi da Roma a qui”. Una domanda che a Marco, in realtà, suona strana.
Combattere fino all’ultimo contro l’ozio e l’indifferenza, ad esempio, contro chi pensa che il “successo” nella vita te lo “guadagni” solo fuori (come se tutti fossero destinati ad un fantomatico successo) sminuendo anche quelle realtà virtuose, che fortunatamente il territorio vanta. Certo tocca viaggiare (ed è un piacere), ma l’importante è rientrare alla base. Perché solo così facendo si crea movimento, si muove energia, ci si ispira, si torna a vivere e migliorare questo angolo di mondo abbandonato a se stesso e probabilmente, per certi versi, è pure una fortuna. Una fortuna per i sognatori liberi di crearsi una vita su misura.
Simona Pace
Si però appena un filino di lieve ipocrisia.