A casa

Il 3 novembre, dopo solo dieci giorni dal precedente, un nuovo Dpcm ha diviso l’Italia in tre zone di diverso colore.
La nostra regione è stata tinta prima di giallo e poi di arancione, sono stati chiusi teatri, musei, cinema, mostre, piscine, palestre, scuole superiori, università, bar e ristoranti.
E’ consentito uscire di casa dalle 5:00 alle 22:00, oltre questo orario possiamo muoverci esclusivamente per motivi di lavoro, salute o urgenza, muniti di autocertificazione (…ancora tu?).
Dobbiamo essere a casa entro le dieci di sera, peggio di Cenerentola, che aveva il coprifuoco a mezzanotte e la possibilità di ballare con un principe. Noi invece abbiamo solo un Conte, che di balli e feste non vuole proprio saperne.
La seconda ondata del virus è arrivata e, anche se dovevamo aspettarcela, non ce l’aspettavamo così violenta. Non con questi numeri, non così vicina a noi.
Il nostro sistema sanitario non è in grado di fronteggiare una simile emergenza. È saturo, prossimo al collasso. Quello che leggevamo a marzo per altre regioni, sta accadendo ora da noi e mi chiedo fino a quando potremo fare finta di niente, mentre rimpiangiamo feste, cene e balli. Una settimana? Un giorno? Un’ora? O fino a quando quel posto che non c’è in ospedale servirà a una persona a noi cara?
Veniamo rendicontati quotidianamente sui numeri della pandemia: le persone contagiate, ricoverate, intubate o morte per effetto del virus. Poi ci sono i numeri dei licenziamenti, delle attività fallite, del debito pubblico e della povertà diffusa. L’elenco è sempre più allarmante e avvilente.
Contemporaneamente virologi, professori, politici e tuttologi fanno dichiarazioni, le smentiscono e si azzuffano sui vari ring mediatici.
La “POSITIVITÀ’”, che abbiamo sempre cercato di trovare e mantenere dentro di noi, ormai è una parola che ci fa paura. Tentando con mille precauzioni e sacrifici di rimanere “NEGATIVI” al virus, rischiamo di diventarlo rispetto a tutto.
Non ci va più di scherzare, fare il pane in casa e cantare sui balconi come facevamo a marzo e anche le pubblicità hanno smesso di dirci che “andrà tutto bene, perché insieme ce la faremo se stiamo a casa, perché l’Italia s’è desta”.
Il virus non è cambiato: non si è indebolito come qualcuno ha tentato di farci credere qualche mese fa, ma noi sì: siamo più fragili.
A marzo, tutti abbiamo accettato le restrizioni imposte dal governo, lockdown compreso, e un commovente nazionalismo è nato da questa grave crisi. Con tanta solidarietà, un pizzico di ironia e molta fantasia, siamo riusciti a trasformare un incubo in un sogno giusto un po’ più brutto del solito, che eravamo certi sarebbe presto finito.
Oggi il nostro rapporto con il virus è diverso, grazie anche a un’estate in cui, credendo che il peggio fosse passato, abbiamo abbassato la guardia, permettendo all’economia di ripartire…e pure al virus.
Ed eccoci qui, come in un déjà vu, più impauriti, sfiduciati, stanchi, impoveriti ed esasperati di prima, con medici, infermieri e anestesisti che, dagli ospedali, ci spiegano brutalmente la gravità della situazione e il governo che cerca di proteggerci, riducendo al minimo le nostre occasioni di incontro e quindi di contagio: se è tutto chiuso, non abbiamo un posto dove andare, ce ne stiamo a casa (chi può) e non ci contagiamo.
Tendiamo facilmente a dimenticare che il nostro nemico è il Covid-19 e non chi sta cercando di far sopravvivere l’economia, mettendo contemporaneamente la nostra salute al primo posto: il rischio di perdere qualche punto nei sondaggi elettorali è alto, visto che è impossibile non scontentare gli interessi di qualcuno in una situazione difficile come questa.
Ma noi siamo arrabbiati e abbiamo bisogno di prendercela con qualcosa (qualcuno) di più concreto rispetto a un misterioso virus invisibile, che ha sconvolto la nostra vita, costringendoci a restare a casa.
A casa: perché davanti agli ospedali saturi e al personale medico stremato, possiamo solo abbassare la testa e fare la nostra parte, per proteggere noi stessi e gli altri, rispettando questo e tutti gli altri decreti, ordinanze e colori che verranno, visto che al momento sono l’unica strada percorribile, per far scattare finalmente il verde e ripartire tutti insieme, al sicuro e davvero.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

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