Circa due metri

Non ho avuto voglia di criticare l’espressione rilassata che ho visto sul volto di mia figlia, quando ha appreso che il governo avrebbe chiuso le scuole almeno fino al 15 marzo, perché sono stata ragazza anche io e l’empatia è l’unica cosa di cui sono ricca.
Sono solo tre giorni che gli studenti (di ogni ordine e grado) hanno spento le sveglie mattutine, colorando le strade della città con la loro vivace allegria.
La “festa dei cavettari” (San Cosimo), che cade il primo venerdì di marzo, quest’anno è stata meno trasgressiva del solito, vista l’assenza di lezioni da marinare, ma le scampagnate non ne hanno risentito.
Giochi, merende, risate e passeggiate: sembra che non sia accaduto niente. Siamo tutto sommato sereni (tranne qualche piccola accortezza) anche noi adulti, che ormai viviamo con un occhio nel mondo e l’altro sul sito Ansa.
Sono sicura che presto i nostri figli avranno voglia di tornare alla normalità delle loro vite, con le verifiche, le interrogazioni e il peso dei vocabolari, perché la scuola non è solo questo. La scuola è soprattutto aggregazione e routine confortante; è una risata vera da reprimere durante una lezione e una chiassosa, ma finta, fatta per compiacere la battuta di un professore.
La scuola è il profumo del panino imbottito che non arriverà intero alla ricreazione, è il tragitto per tornare a casa in compagnia degli amici; è accorgersi che “mi basta un sei meno meno” è solo una frase scaramantica, perché certe interminabili ore di studio vorrebbero essere ripagate adeguatamente, se non altro per essere riusciti, per un intero pomeriggio, a ignorare il sole nel cielo e gli amici dentro lo smartphone in modalità aereo.
Interrompere le lezioni era necessario e i ragazzi devono capirlo bene, per non confondere questo periodo con una prova delle vacanze di Pasqua.
In qualche modo l’anno scolastico continuerà e i nostri figli, grazie all’istruzione a distanza, faranno online l’unica cosa che fino a oggi erano costretti a fare offline.

In realtà, a distanza di circa due metri (per essere precisi 1,82 m.) l’uno dall’altro, si dovrebbero fare tante altre cose, fra le quali salutarsi da lontano senza baci, abbracci o strette di mano, ma fino ad ora non ho visto niente del genere intorno a me.
Riusciremo a rinunciare alla nostra espansività, mettendo da parte l’entusiasmo che proviamo nell’incontrarci per caso, baciandoci le guance, abbracciandoci con affetto e avvicinandoci per sussurrare un racconto sfizioso?
Ci diremo tutto online.
Sarà un grande sacrificio, ma ne varrà la pena se riusciremo a ritardare la diffusione del maledetto COVID-19. In fondo, per ora, non ci stanno chiedendo molto, oltre a evitare luoghi affollati, lavare spesso le mani e starnutire nei gomiti. Di questi tre “consigli”, il più difficile da seguire è sicuramente l’ultimo, perché siamo ancora a marzo e giacche e giubbini non accompagnano agevolmente il movimento del braccio, se ci aggiungiamo un po’ di cervicale il disastro è fatto. Meglio starnutire in fazzoletti monouso, di cui liberarsi immediatamente, poi una bella passata di gel disinfettante e voilà.
È facile per un adolescente non andare a scuola per qualche settimana, per molti aspetti anche piacevole. Per le famiglie con figli piccoli, invece, sarà complicato organizzare la quotidianità, districandosi tra lavoro e famiglia.
Per fortuna ci sono i nonni, che in questa circostanza sono la fascia più debole, da proteggere, ma anche il solito sostegno a cui ricorrere nel momento del bisogno. Ecco perché inorridisco, ogni volta che sento qualcuno giustificare la propria noncuranza alle direttive governative con la frase: “È solo un’influenza, il 95 per cento dei contagiati guarisce, muoiono solo gli anziani con patologie pregresse”.
Ce lo hanno spiegato tante volte che la problematica più grande del Coronavirus non è la mortalità, ma la necessità di degenza in terapia intensiva. Delle persone che hanno contratto il virus, alcune sono asintomatiche, una gran parte guarisce, ma molte hanno bisogno di essere ricoverate in una tipologia specifica di posti letto, che purtroppo scarseggiano negli ospedali italiani.
Il governo ha chiesto la collaborazione di tutti e un nostro piccolo sacrificio può essere un grande aiuto per proteggere chi è più fragile.
Ora sta a noi decidere se affidarci alla buona sorte (il virus non arriverà nella nostra zona, o magari arriverà e non lo prenderà nessuna delle persone a cui teniamo, oppure lo prenderemo e guariremo tutti…anche i nostri nonni con patologie pregresse) o al buonsenso.

gRaffa

Raffaella Di Girolamo

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