Democraticissimi

Stavano gioiosi sotto il Quirinale, una decina mischiata nel gruppone di precari pubblicisti ancora senza passi stampa – che pure l’ultimo porta-fake del Transatlantico ce l’ha-, come ridenti turisti giapponesi dal parasole bianco, a omaggiarsi di selfie vicendevoli.

– E’ per riconoscerci – ridevano rispondendo a chi, appreso fossero neo-onorevoli, faceva domande provocatorie.

Sono arrivata fin qui col mio biglietto del treno, tiene a precisare una bionda quasi trentenne, 39,40 euro di cui non pretenderà rimborso: un’eroina nel contesto capitolino che sui rimborsi esentasse ci ha costruito imperi.

Anche lei, come gli altri, in attesa del leader che scenda ad annunciare la lieta novella, la stessa che tutto il paese attende con ansia sperando nel cambiamento, l’incarico al neo premier. Che qui in piazza non sanno chi sia, nessun movap gliel’ha preannunciato, nessuno streaming su rosseau gliel’ha fatto votare, né tantomeno un’assemblea di rito di quelle che piacevano tanto alla casta sconfitta.

 

Sconosciuti gli uni agli altri come matricole all’ingresso al ginnasio ne approfittano per scambiarsi contatti, come a una gita dei cento giorni quando però, a differenza di ora, andavano per rimorchiare colleghi con i quali non avrebbero dovuto scrivere leggi. Aggiornare nella memoria i volti finora solo immaginette festevoli sui profili social, con i quali bene che vada hanno scambiato via messanger qualche ciao, anche tu sei passato? Sei emozionata? E ora? bla bla car insieme a Roma?

A vederli scorrazzare sorridenti sulla collina del Quirinale da dove si sono abbeverati al tramonto mozzafiato cesari e superpapi di ogni epoca, si realizza finalmente in cosa si sustanzi questa tanto decantata rivoluzione, la democrazia partecipata 3.0.

 

E’ il Noi Qualunque al potere, spazzata la vecchia compagine di professionisti votati alla poltrona, è rottamazione epocale prima che democratica, popolarissima pur senza piazze violente, senza martiri né vetrine rotte alla nemica finanza, senza una sola goccia di sangue sparso.

Una roba pulita insomma come la rapina alla zecca di Casa Papel, costruita a monitor, rispondendo con entusiasmo alla chiamata di un blogger predicatore e da lì, appassionandosi alle sue teorie, seguendo il nascente movimento in ogni sua performance, compresi gli streaming dei piani alti, hanno deciso con un click ogni passaggio fino alla trasformazione finale in partito di governo.

 

Ed eccoli qui.

E se nel momento cruciale nessuno di loro è stato coinvolto nella stesura del contratto di governo, se il premier l’hanno scelto a porte sbarrate e web camere spente i leader neo alleati, pazienza. Hanno votato però, ben prima che il contratto venisse adottato, dall’alleanza blindata è calata la richiesta di ok ai rispettivi popoli come democrazia partecipata pretende.

Si, qualche colpo di coda dell’ancient regime ha tentato il golpe bianco rallentando il cambiamento, qualche sgambetto delle multinazionali della finanza europea, qualche bacchettata dalla vegliarda tedesca, qualche parola di troppo volata nella concitazione a cui è seguito subitanea l’irrinunciabile indignazione del pd che, in difesa del presidente oltraggiato, ha riesumato il 78 giri di Bella Ciao al karaoke dal palco, casomai qualcuno si fosse scordato le parole.

Nulla di che, ce l’aspettavamo tutti il colpo di coda del salmone spiaggiato, ma solo pochi giorni ancora che la rivoluzione non ammette ripensamenti.

Il primo governo tecnico-popolare, frutto di contratto siglato fra due avversari per formare un trumvirato di cui uno è il capo e gli altri due i gregari che l’hanno nominato, è fatto ed ha giurato.

 

Tanto comunque non è il governo il cuore della Rivoluzione, dice il popolo del web, è il Parlamento in cui si fanno le leggi o si promulgano le proposte dell’esecutivo.

E’ lì che ognuno dei neoarrivati a 39,40 euro dovrà decidere le nostre sorti, lì che la gente qualunque diventata onorevole per autocanditatura su un portale web con voti variabili da trenta a cento, restaurerà la democrazia ultra popolare.

 

Chissà – è la domanda – se  il cittadino onorevole turista al Quirinale, a Montecitorio  saprà discernere nel merito cosa è funzionale davvero alla buona rivoluzione e cosa invece lo è al mal di pancia popolare, cosa è frutto di strategie dei piani alti e cosa davvero può facilitarci la vita, cosa ci aggiunge un diritto e cosa invece ce lo toglie.

 

– Ma ti candideresti a ministro se il capo ti nominasse? ha chiesto una voce alla deputata bionda intenta a postare la foto su instagram.

Certo, ha risposto avvicinandosi alla telecamera, ma mi accontenterei anche di un sottosegretariato. Posso autocandidarmi in tv?

Ciaoooo Luigi – ha esultato agitando la mano come si fa con il giovanottone moro rimorchiato sul treno, –  sono senatrice e avvocatessa. Dobbiamo riformare la Giustizia della vecchia repubblica? eccomi.

Il nuovo è avanzato, si parte.

 

 

 

Antonio Pizzola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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