Pax alla romana

Il modello di insediamento romano nelle colonie

Nel momento di massima espansione dell’Impero i Romani avevano digerito una regola importante: per dominare la Terra i popoli non andavano oppressi, non conveniva.

La storia scritta e tramandata aveva insegnato che prima o poi si sarebbero incazzati, organizzati e ribellati, creando fastidiosi contrattempi al fluido affermarsi dell’egemonia totale a cui i romani credevano essere vocati.

Optavano cosi per una pax, ma alla romana, ovvero: tranquilli, tenetevi dei, riti, tradizioni, lingua, moneta, costumi, a volte perfino il governatore. Prosperate pure, anzi dovete prosperare perchè lo sviluppo delle province significava la perpetrazione dell’onnipotenza dell’impero.

Che calava sui popoli conquistati con la magnificenza del panem et del circensem alla lupa maniera, capace di convincere ogni abitante del globo a modernizzarsi e trasformarsi in un civis romanus, facendo di Roma un modello ben oliato di gestione dei popoli esteso quanto il pianeta. 

L’Impero garantiva ai popoli assoggettati il suo modus collaudato nei secoli: strade, piazze e palazzi e, a seguire, il know how più efficiente sul globo, acquedotti, terme, teatri ma anche poesia, arte, tecnica, mode e comportamenti fino all’angolo più remoto.

Lo strumento di dominio non era la violenza, se non quando strettamente necessaria, ma le infrastrutture: prima nasceva la strada per arrivarci e garantirsi il rapido spostamento degli eserciti e, in seconda istanza, lo scambio delle merci, in uscita ed entrata.

la rete infrastrutturale di consolari e strade minori realizzate dai Romani

I dominati erano liberi di oltrepassare i confini promuovendo gli scambi, anche perchè non esisteva un fuori dove fuggire o rifugiarsi, l’impero non aveva confini: era il mondo, un mondo pronto a produrre ricchezza nei territori e quindi a ribaltarla all’impero, dove si era liberi di fare e dire entro i perimetri di rischio di tenuta del controllo; per dirla alla romana, produci e goditi panem et circensem senza troppi grilli per la testa.

Alle elite locali e ai capipopolo invasi, una volta conquistati, ovviamente il sistema calzava a pennello: i Romani gli lasciavano le prebende che racimolavano dal pil di provincia, in un promettente accordo inter pares: ordine, controllo, metodo, ricchezza senza sforzi, in cambio di una fee, ‘na ‘ntacca, grande a piacere dei dominatori.

Se qualche ribelle alzava la cresta erano gli stessi capipopolo a pietire l’intervento imperiale, offrendogli la testa del povero cristo di turno che aveva osato sparigliare i mercimoni con cui le élite local s’imboscavano il lucro, agitando le teorie complottiste del riottoso che avrebbero messo a rischio il dominatore straniero. 

In cambio l’Impero pretendeva semplicemente questo, la fiducia e il pizzo sul prodotto altrui che ma che nessuna civiltà antica come i Romani seppero mettere a sistema, come i socialisti craxiani per Tangentopoli.

Furono i Romani a promuovere il denaro come scambio con i beni perchè, ntacca su ntacca, si rendeva necessario per spartirsene il lucro: chi fu svelto a fornire il servizio ne gestì per conto dell’impero i flussi, gettando le basi di quelle che un giorno sarebbero state le banche che, nei secoli a seguire, furono necessarie per finanziare ai potenti per le costose campagne militari e le spendaccione corti europee a corto di liquidi.

La pax consentiva di lucrare sulla moneta, senza nemmeno bisogno del corrispettivo in beni: era stata concepita la Finanza, il Liberismo moderno, il Capitalismo e, nei suoi eccessi peggiori, l’economia mafiosa.

Dalla caduta dell’impero romano nei secoli a venire ogni impero dalle mire espansionistiche, a est, nord, sud e ovest, provò a replicare il modus romanus, ma senza ottenerne il medesimo duraturo successo: deprimevano le popolazioni conquistate spremendole fino al midollo, altro che panem e circensem, copiavano solo il divide et impera, che però non riusciva a scongiurare le rivolte.

Finchè, con lo sviluppo del capitalismo moderno, la potenza che ne fu il manifesto, l’America sotratta ai nativi per farne un impero di modello e ideologia, riesumò il principio di pax alla romana traducendolo in un più contemporaneo  Export The Democracy.

Creando la rete infrastrutturale di strade digitali attraverso cui far transitare moneta, merci e costumi, l’America lasciò sotto la sua ala protettiva i suoi Foedes alleati liberi di autodeterminarsi, spostarsi, arricchirsi, ma anche di pensare, dire, fare, votare, cantare, lettere e testamento. Senza limiti, se non come ai tempi di Adriano, nel ben delineato perimetro del lecito che non mette a rischio l’impero e lungo la rete di connessioni di proprietà imperiale.

 

La mappa delle dorsali di distribuzione della rete connettiva sul’intero pianeta di proprietà americana

Senza che nessun cittadino alleato savio di mente si cambierebbe con i suoi omologhi sudditi dei più cruenti imperialismi avversari, che ormai hanno fatto il loro tempo: unica pretesa del neo impero è l’obolo che, non a caso anche per parabola messianica, andava garantito a Cesare perchè di Cesare.

Antonio Pizzola

Ps.: ah, non per spoylerare il finale, ma l’impero romano rovinò preda dei barbari che ne fecero carne da porco, perchè l’opulenza ha un limite prima che se ne produca il suo rovescio: il decadimento, la mollezza, la fragilità che se ne generano ne determinano l’implosione

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