Pinte, arrosticini e gladiatori. La finale dei sulmonesi d’Inghilterra

C’è una eco che rimbomba per tutta l’Inghilterra. Un suono che si propaga in ogni luogo: dalla brughiera inglese fino alle bianche scogliere di Dover. Attraversa le Midlands. Irrompe nelle città con la stessa intensità del fumo che fuoriusciva dalle fabbriche durante la rivoluzione industriale. Arriva a Londra: nei pub, nelle case in periferia e nei grattacieli di Bishopsgate. Esplode, poi, dalle gole dei 60.000 che affollano lo stadio di Wembley, la casa dei leoni di sua maestà. “Football’s coming home, it’s coming home!”, canzone inglese pubblicata nel 1966, anno in cui l’Inghilterra vinse il suo primo e unico mondiale. Loro, gli inglesi, ne sono sicuri che il calcio stia tornando a casa loro. Noi, italiani spavaldi, un po’ meno.

Lo zoccolo duro di italiani in Terra d’Albione è fortemente radicato a Londra. Un tempo la meta prediletta per cercare fortuna oltre confine si raggiungeva in barca, con svariate ore di viaggio e ad accogliere gran parte dei nostri avi c’era la sagoma di una donna alta 93 metri. Oggi, invece, basta un biglietto Ryanair con imbarco all’aeroporto d’Abruzzo e circa due ore e mezza di volo. Di abruzzesi Londra ne è piena, e tra loro non mancano i sulmonesi che un po’ per necessità, un po’ per intraprendenza hanno preferito Trafalgar Square a Piazza Garibaldi. Fuga di cervelli, di giovani ma non di cuore, che resta saldamente ancorato alla Penisola. Anche loro in fibrillazione pre gara, ma in terra straniera con l’avversario che affolla strade, ristoranti e luoghi di lavoro. “Con i colleghi è già iniziato qualche sfottò – ci racconta Vincenzo Masci, che a Londra abita da più di cinque anni – Gli inglesi dall’inizio del torneo credono di poter vincere, ma ci temono. Sanno che la loro nazionale è maturata dal mondiale del 2018, ma la nostra Italia non viene più vista con lo stereotipo del catenaccio; ora parlano di un’Italia che ha imparato anche ad attaccare e a poter far male. Chi temono dei nostri? Prima Spinazzola per la fase offensiva. Ora hanno paura di Chiesa”.

Vincenzo, nel bagaglio per Londra, ha portato ambizioni e passione calcistica. Non solo l’azzurro della nazionale, ma anche i colori rossoneri del suo Milan, diventando segretario del Milan Club London, con sede al The Comedy Pub, vicino Piccadilly Circus. “Prima della pandemia i tesserati erano 200, ma al pub venivano ancora più persone durante le partite”. In attesa di una possibile trasferta londinese del Milan nella prossima Champions League, Vincenzo ha potuto assaporare le gare che si sono svolte a Londra durante questo Europeo itinerante: “Sono stato a Wembley per l’ottavo di finale contro l’Austria, mentre le altre partite le ho viste a casa con degli amici di Teramo. Abbiamo cucinato gli arrosticini con carne presa qui in Inghilterra. Prima della Brexit ce li facevamo spedire direttamente dall’Italia”. Una chiosa, per concludere sulla situazione Covid: “Gli inglesi sono un disastro. Parlo della realtà che vivo quotidianamente. Per le strade solo il 5% delle persone porta la mascherina. Lunedì 19 cadrà l’obbligo di indossarla nei luoghi chiusi e la situazione potrebbe peggiorare.”

Gli inglesi sfidano la sorte non solo con la salute, visti i 35.000 nuovi casi di ieri, ma anche al gioco come ci racconta Emanuele Pacella, sulmonese che ha nelle proprie mani la fortuna del prossimo visto che lavora come croupier in un casinò di Londra. “L’80% dello staff è inglese – racconta Emanuele – ed è iniziato da qualche giorno lo sfottò. Gli inglesi in quanto a tifo sono un po’ romantici. Il coro ‘It’s coming home’ si sente ovunque. Poiché il prossimo anno prenderò la cittadinanza, alcuni mi hanno chiesto se inizierò a tifare Inghilterra. Naturalmente ho risposto di no. Il tricolore italiano lo porto dentro al mio cuore. Loro credono davvero di poter vincere ma, allo stesso tempo, hanno molta paura di noi”. Forse il timore è cresciuto vedendo il percorso fatto fin qui dagli Azzurri, culminato con l’eliminazione in semifinale della Spagna che Emanuele ha visto dal vivo, travestito da gladiatore romano: “La semifinale vista a Wembley è indescrivibile. Solitamente le partite le abbiamo sempre viste a casa di un mio collega di Pescara, ma ci siamo voluti concedere la semifinale dal vivo. Il cuore durante il rigore di Jorginho si è fermato. Sembrava di giocare in casa perché anche molti stranieri simpatizzavano per l’Italia. C’era una donna di Tokyo con la maglietta della nazionale vicino a me. Poi anche indiani e tanti altri stranieri facevano il tifo per noi. Il vestito da gladiatore? È stata un’idea che mi è venuta insieme ad un mio amico. Mi sono fatto prestare l’elmo da un ragazzo che conosco. Nel tragitto che separa lo stadio dalla metropolitana avrò fatto almeno 50 foto con persone sconosciute. La finale? Non ho il biglietto. Vedrò se riuscirò a procurarmelo prima della gara, magari qualcuno rinuncerà. Hanno sconsigliato a noi italiani di vedere la gara nei pub. Dopo la partita contro la Danimarca tre tifosi danesi sono stati malmenati, anche se devo dire che la polizia è intervenuta subito per evitare il peggio. In caso di vittoria non so se uscirò a festeggiare, dipende se ci saranno molti italiani in giro. La voglia di far festa c’è. Vediamo come andrà a finire…”

Mentre dall’altra parte della Manica i preparativi per l’evento conclusivo di Euro 2020 sono stati ultimati, con maxi schermi per le strade di Londra e televisori al plasma fuori dai locali, qui nel Centro Abruzzo non sono stati organizzati eventi di particolare raccolta per la visione della nazionale. Se escludiamo il maxi schermo che sarà allestito a Pratola Peligna e a Castel di Sangro, il resto dei Comuni del comprensorio peligno-sangrino non si sono mossi, vuoi un po’ per mancanza d’iniziativa, vuoi un po’ per evitare rischi di assembramenti (almeno durante la gara). Niente eventi ufficiali neanche dai borghi e sestieri (anche se qualcuno si è organizzato in forma ristretta). Solo alcuni locali si sono attrezzati per mandare in onda le immagini dell’atto finale per alzare una coppa che a noi manca dal 1968. Chissà se invece di tornare a casa il calcio prenderà un’altra direzione questa notte, anche perché da “It’s coming home” a “It’s coming to Rome” il passo potrebbe essere breve. Speriamo.

Valerio Di Fonso

5 Commenti su "Pinte, arrosticini e gladiatori. La finale dei sulmonesi d’Inghilterra"

  1. Forza covidiiiiii!!!!!!!!

  2. Ma come è stato possibile mettere i maxi schermo se sono vietati assembramenti?

  3. Bell’articolo, forza Italia!

  4. … Niente eventi ufficiali… Ma passando dopo il ponte le regole anti covid sono valide? In un locale… Gente ammassata, canaletta di arrosticini… Mah poveri noi!!!

  5. Il covid non esiste. A vedere quanto sta accadendo nelle piazze

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