Il campo di Fonte d’Amore ed i prigionieri austro-ungarici, appuntamento con la storia

Alla fine della guerra, fonti governative dichiararono che erano stati oltre 600.000 i soldati dell’ex Impero austro-ungarico imprigionati in Italia. Né prima né dopo la Grande Guerra l’Italia si ritrovò a gestire un numero così esorbitante di prigionieri”. La storia, le storie, ai più ancora sconosciuta saranno al centro di un incontro organizzato dal Centro Studi Vittorio Monaco, per venerdì 12 gennaio, alle ore 17, presso la biblioteca del liceo Fermi di Sulmona, in cui verrà presentato il libro scritto a quattro mani da Alfredo Fiorani e Edoardo Puglielli: «I prigionieri di guerra austro-ungarici nei campi di concentramento italiani» (Di Felice Edizioni).

 Non tutti, forse, sanno che tutta l’Italia fu “disseminata di campi d’internamento, dove furono rinchiusi uomini appartenenti ai più disparati gruppi linguistico-culturali (magiari, austriaci, tedeschi, slavi, serbi, ruteni-galiziani, romeni, polacchi, cecoslovacchi, albanesi, turchi, etc.)”. Per molti di loro il destino non fu clemente, tutt’altro: “morirono di stenti e malattie; altri furono utilizzati per lavori agricoli, industriali e di pubblica utilità, in quanto sottopagati rispetto alla manodopera locale”.

Una storia che coinvolge totalmente anche la Valle Peligna ed il Centro abruzzo con la presenza del campo di prigionia di Fonte d’Amore. In questo luogo  “furono imprigionati i cecoslovacchi (più di 3.000 agli inizi del 1917, salirono a circa 7.000 nei mesi successivi), utilizzati per il rimboschimento del monte Morrone e per la riedificazione dei pozzi di epoca borbonica per alimentare d’acqua potabile l’ex-Abbazia Celestiniana e le abitazioni circostanti”. Furono loro ad ingrossare le fila della  Legione Cecoslovacca che nel frattempo si stava formando, “schierata al fianco degli eserciti dell’Intesa con l’obiettivo dell’indipendenza dall’Austria e della costituzione della Repubblica Cecoslovacca”.

A pochi chilometri dalla valle, ad “Avezzano, invece, furono internati prigionieri austriaci, tedeschi, ungheresi, boemi, croati, polacchi e sloveni. Furono utilizzati per i lavori di ricostruzione del dopo terremoto. In seguito giunsero anche tutti i soldati romeni dislocati nei vari campi di prigionia italiani, i quali diedero vita alla Legione Romena, che tornò in guerra per l’indipendenza dall’Impero”.

Un appuntamento con la storia, quella ancora dietro l’angolo.

Interverranno: Edoardo Puglielli (Università degli Studi Roma Tre) Giorgio Tentarelli (docente di storia e filosofia) Giuseppe Evangelista (Centro Studi e Ricerche Vittorio Monaco.

S.P.

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