Il canto delle sirene

Si apprende da “Il Germe” che, a giudizio della minoranza consiliare del Comune di Sulmona, il Sindaco Anna Maria Casini, in occasione di una recente intervista ad un quotidiano, avrebbe “ammesso pubblicamente che la città fino ad oggi non è stata difesa autorevolmente in Regione ed è stata marginalizzata, riconoscendo implicitamente tutti i limiti e le manchevolezze dell’ex assessore Gerosolimo, più incline a destabilizzare che a realizzare idee e progetti nell’interesse del territorio”.
Le considerazioni che il comunicato dei consiglieri di minoranza attribuisce al Sindaco si caratterizzano quale atto di abiura rispetto alla fede precedentemente professata e acquistano lo sgradevole sapore dell’ingratitudine, grossolanamente e malaccortamente espressa nei confronti del mentore che aveva avuto l’avventata intuizione di catapultarla sul più alto scranno di Palazzo San Francesco.
Evidentemente, la Dottoressa Casini, nel disperato tentativo di liberarsi dall’opprimente dominio esercitato dall’ex assessore regionale, nella agognata prospettiva di “tirare a campare” quanto più possibile, emula, quando prende le distanze dal suo mentore e tenta di disconoscerlo, la colomba kantiana della “Critica della ragion pura”.
La colomba leggiera, mentre nel libero volo fende l’aria di cui sente la resistenza, potrebbe immaginare che le riuscirebbe assai meglio volare nello spazio vuoto di aria”.
La colomba kantiana che percepisce l’aria come un impaccio, nel mentre che “liberamente” vola e fende l’aria della quale avverte la resistenza, pensa che le riuscirebbe assai meglio volare nello spazio se esso fosse privo d’aria, ma non sa che se non ci fosse l’aria a sostenerla non potrebbe volare.
Il distinguo della Sindaca rispetto al suo mentore induce ancora a prendere a prestito le parole del grande filosofo, secondo il quale “Platone abbandonò il mondo sensibile, poiché esso pone troppo angusti limiti all’intelletto; e si lanciò sulle ali delle idee al di là di esso, nello spazio vuoto dell’intelletto puro. Egli non si accorse che non guadagnava strada, malgrado i suoi sforzi; giacchè non aveva, per così dire nessun appoggio, sul quale potesse sostenersi e a cui potesse applicare le sue forze per muovere l’intelletto.
Ora, poiché il contesto nel quale la Sindaca è costretta a muoversi è stato sagacemente precostituito dal suo mentore, si ha ragione di ritenere che ogni atto di insubordinazione (o di semplice intemperanza) e ogni tentativo di affrancamento sono destinati a subire pesanti conseguenze ritorsive.
Il bravo giornalista (l’attributo è tutt’altro che ironico), interpretando l’invito dell’opposizione ad alcuni consiglieri di maggioranza come il canto ammaliatore ed insidioso delle sirene di Ulisse di memoria omerica, evoca alla mente anche scenari danteschi, con un preciso riferimento al canto XXVI dell’Inferno, ambientato nell’ottava bolgia, il luogo ove sono puniti i consiglieri fraudolenti.
Pur apprezzando la dotta scelta, non si può pienamente convenire con l’arguto cronista in quanto l’Ulisse dantesco, così come quello classico, dotato di capacità persuasoria ai limiti dell’inganno è, diversamente da alcuni politici nostrani, provvisto d’insaziabile curiosità ed abilità di linguaggio.
Il mitico personaggio, quando giunse alle colonne d’Ercole (all’epoca era il limite estremo delle terre conosciute, “non plus ultra”) rivolse ai compagni una “orazion picciola”, che è un capolavoro retorico, con cui li esorta a non perdere l’occasione di esplorare l’altro emisfero (australe), totalmente invaso dalle acque oceaniche e disabitato: “il mondo sanza gente” come viene definito da Ulisse.
E’ ovviamente un inganno, dal momento che non è possibile “seguir virtute e canoscenza”, né diventare esperti “de li vizi umani e del valore” esplorando un mondo disabitato.
Infatti, Ulisse vuole soddisfare soltanto la propria curiosità, la quale, oltretutto, è fine a se stessa; è per questo motivo che trascina i compagni in un folle volo che infrange i divieti imposti dalle divinità e che si concluderà con la morte di tutti loro.
Alla luce di quanto appena esposto, per Dante, Ulisse non è un eroe positivo della conoscenza, ma è l’esempio deleterio di chi usa l’ingegno e l’abilità retorica per scopi illeciti, dato che superare le colonne d’Ercole significa oltrepassare il limite della conoscenza umana fissato dalle leggi divine.
È pertanto un viaggio folle perché Dio non lo approva e punisce l’eroe greco con il naufragio che travolge la nave nei pressi della montagna del Purgatorio.
Parafrasando il testo dantesco (“si parva licet componere magnis” che, per la verità, nel caso specifico, andrebbero più correttamente definite “minima”), si rinviene parte degli elementi che affliggono la vita della nostra sventurata realtà: la presunzione di chi si ostina ad esercitare ruoli che stanno procurando solo danni all’interesse generale della collettività e i tatticismi (fraudolenti) di alcuni personaggi di contorno.
Subiranno tutti, ineluttabilmente, il medesimo destino di Ulisse e dei suoi compagni.

Mr. Jouwe Tout Burlow

6 Commenti su "Il canto delle sirene"

  1. La stessa minoranza è anch’essa un altro esempio di “sirene mancate” alla vita politica cittadina…. dove l’avvilente è che “si fanno” solo lezioni di epica ed antologica politica pre elettorale e “non si fa” alcun minimo riferimento alla tragedia greca vissuta nel loro interno…
    Forse “qualcuno” deve avvisargli che gli elettori hanno le orecchie tarpate alle “lusinghe del canto delle sirene”… e che la dietrologia, quanto e come è, non supportata da alcun risultato, spesso si rileva più controproducente di quanto si voglia contrariamente ottenere…
    Il (ex) deux machina (citato) docet … vedi la mancata discesa in campo nelle prossime elezioni regionali.

  2. Questo sig. Burlow, che si fosse inopinatamente presentato ad un esame per giornalisti, sarebbe stato cacciato con ignominia a calci nel sedere.

  3. Editorialista?
    Per tale ruolo si presuppone capacità di analisi e di scrittura. Entrambe assenti e in questo caso sepolte sotto un cumulo di inutile sfoggio di tuttologia.

  4. Non c’è dubbio.

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