La lezione del judo: la Budokai ad Ostia nel segno dell’inclusione

Si sono ritrovati in cinquantatrè lo scorso sabato 9 marzo al Centro Olimpico “Matteo Pellicone” di Ostia per vivere un’esperienza all’insegna della inclusività.

Tra i partecipanti anche l’insegnate tecnico Fijilkam di judo Massimo Zambelli della scuola Budokai di Sulmona, succursale della omonima scuola di Avezzano del maestro Francesco di Benedetto, unica d’Abruzzo tra le partecipanti allo stage dal titolo Il judo inclusivo: la gestione del gruppo. Organizzato dalla Fijilkam Federazione Italiana Judo, Lotta, Karate e Arti Marziali, lo stage ha visto la partecipazione di insegnanti provenienti da tutta Italia prendere parte a sessioni in aula e laboratori in palestra per aprire le porte delle loro scuole anche a chi pensa di non poterle varcare. Perché affetto da disabilità fisica o intellettiva e fa ancora fatica ad avvicinarsi a discipline sportive dove il contatto con l’avversario, il controllo del proprio corpo e la coordinazione dei movimenti possono apparire ostacoli. E che invece rappresentano proprio le ragioni per cui chiunque dovrebbe praticare le arti marziali e, soprattutto, il judo.

Come ha fatto e continua a fare Simone, il ragazzo affetto da sindrome di down che nel judo ci ha sempre creduto e spinto dal desiderio di diventare cintura nera, sin da quando aveva quindici anni ha iniziato ad allenarsi per diventare oggi, a trent’anni tecnico di judo in una scuola romana. Lui esempio di quanto la disabilità non sia sinonimo di diversità ma di avventura, come quella che ha dato nome al progetto L’avventura di Simone.

“É sorprendente vedere come i ragazzi con disabilità riescano a lavorare con profitto insieme ai loro compagni normodotati – spiega Massimo Zambelli – e come questi ultimi ne escano arricchiti da un punto di vista formativo”. Da anni dedito all’insegnamento di una disciplina che non a caso è l’unica arte marziale presente ai giochi olimpici e paralimpici, Zambelli insieme ai tecnici della Budokai intende portare avanti la filosofia dell’inclusività “perché l’accoglienza del diversamente abile dovrebbe essere un obbligo per l’insegnante”. Nel solco tracciato dal fondatore della disciplina, il maestro giapponese Jigoro Kano che nello scambio reciproco vedeva il segreto di una crescita non solo tecnica ma soprattutto morale dei suoi allievi. Uno scambio che comincia sul “tatami”, il tappeto dove bambini e ragazzi si allenano e dove, tra capriole, osotogari e ipponseoinage, apprendono la lezione più importante del judo. Imparare a cadere per rialzarsi ed affrontare gli ostacoli con forza e determinazione. Tutti insieme ma soprattutto tutti uguali.

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