Processo Franzese, il fumo sotto la polvere

Gli elicotteri e i cani, i sistemi di telecamere e le ville holliwoodiane, le ruspe a scavare nel terreno dove dentro bidoni sotterrati vennero rinvenuti ingenti quantità di denaro contante e diversi chili di droga: hashish, marijuana e cocaina, principalmente, che portarono all’arresto di nove persone, otto in tutto quelle finite a giudizio dopo oltre dieci anni dai fatti. Una storia incredibile quella del processo ai Franzese, la famiglia di origine campana stabilitasi da anni a Castelvecchio Subequo dove, aveva sostenuto la procura della Repubblica, era diventata l’anello di congiunzione dello spaccio tra Napoli e la costa adriatica con “rapporti con il clan camorristico Livelli-Vangone” scrivevano i magistrati.


Mesi di indagini e anni di oblio, con quel fascicolo misteriosamente sparito dal terzo piano di palazzo Capograssi e riemerso solo dopo che il caso venne portato all’attenzione della stampa nazionale come caso di giustizia lenta e “distratta”. Tanto distratta che il 23 novembre del 2017, l’allora cancelliere del Gip, Domenico Taglieri, scriveva una lettera alla procura per sapere cosa farsene di 17 chilogrammi di hashish e quindici grammi di marijuana parcheggiati tra i corpi di reato, ma non menzionati nei capi di imputazione contestati.


Dalla polvere sollevata, alla fine, non è rimasto niente: oggi, infatti, il giudice monocratico Francesca Pinacchio ha chiuso, con un’assoluzione per mancanza di prove (ovvero perché il fatto non sussiste) e per alcune accuse minori per intervenuta prescrizione, l’ultima tranche del processo di quella complessa inchiesta, mandando assolti i tre imputati rimasti alla sbarra, ovvero i fratelli Salvatore e Massimo Franzese e Maria Tresca, compagna di quest’ultimo. I tre erano accusati in particolare di aver gestito una partita da un chilogrammo di cocaina e averla trasportata nel dicembre del 2006 da Napoli a Castelvecchio e da qui, per una metà, nel pescarese. I tre, intercettati, non vennero però mai fermati con la droga in auto, perché, aveva dichiarato uno degli inquirenti in fase dibattimentale, non volevano rovinare l’operazione di ben altra portata, quella cioè che poi venne eseguita il 7 aprile del 2007 svegliando il tranquillo paesello sui monti subequani alla vigilia di Pasqua.


Prima di loro erano stati già prosciolti, per stessa richiesta del pubblico ministero per l’assenza di elementi a sostenere l’accusa in giudizio, altri quattro dei cinque imputati (uno di loro, Tommaso Di Rocco aveva patteggiato la pena): Domenico Franzese, Giuseppe e Tonio Valeri e Silvana Di Pietro.
Le indagini chiuse nel 2009 subirono un primo stop perché l’avviso di garanzia venne notificato ad uno solo degli otto imputati. Nel frattempo la titolare dell’inchiesta, il procuratore Maria Teresa Leacche va via da Sulmona e per riavere notizia del fascicolo bisognerà attendere quattro anni. Nel 2013 la procura si decide quindi a fare una nuova notifica, ma, per problemi burocratici dovuti al cambio di procedure tecniche, la richiesta di rinvio a giudizio arriva solo nel 2015. Per la fissazione dell’udienza, però, bisognerà aspettare ancora un anno e degli otto imputati solo tre andranno a giudizio. Oggi tutti assolti.

2 Commenti su "Processo Franzese, il fumo sotto la polvere"

  1. aldo rosicchio | 17 Dicembre 2019 at 19:44 | Rispondi

    mi spiegate perché tale tribunale deve restare aperto? per lasciare ancora spazio a tali porcherie? basta. chiudiamo questo sperpero di denaro pubblico.

  2. bene,molto semplice…ai confini abruzzesi, sono state fermate diverse persone,tutte con notevoli quantita’ di polveri non autorizzate,tutte in attesa di giudizio,alcune di esse con famigliari,parenti,amici di “aventi ruolo” nel palazzo del fascicolo misteriosamente sparito…legittimo il sospetto,quasi certamente,forse gli accordi nel palazzaccio prevedono:
    alla lunga,prescrizione,tutti assolti con ville e negozi aperti,tutti colpevoli,tutti innocenti,o no?

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