Alfrè, la slot e il Baffo

Mi incanto ogni mattina, aspettando il caffè del Baffo top ten a Torpigna, sul giubbotto blu del pensionato di spalle in piedi davanti alla slot, la macchinetta elettrica di fruttini roteanti che promettono fortune. Mi sforzo di capire se ci vuole un’abilità che renda eccitante il tempo che le dedica, o se, come dice il Baffo, ma gnente, je devi solo preme i bottoni.

 Non saprei dire nemmeno che faccia abbia, non l’ho mai visto voltarsi. Pare si chiami Alfrè, o almeno così ogni tanto il Baffo lo risveglia dal trip di fragoline e ciliegine in cui è cascato.

A volte parla, ma senza voltarsi, a sguardo fisso sullo schermo mentre schiaccia i pulsanti. Perlopiù commenta a voce alta le combinazioni spaiate di fruttini che gli escono, ce lo sapevo – dice – ad ogni musichetta consolatoria esca dall’apparecchio, come a volersi giustificare di quell’illusione che lo spinge a continuare.

Immerso nel suo mondo di fruttini roteanti e jingle di consolazione non ha bisogno di interlocutori, si rivolge alle prugnette o alle meline come da ragazzo forse alle donnette della Marranella, dai su, vi do cinquecento lire e voi uscite in fila per me.

Nemmeno il tintinnio di rare monetine lo eccita, rimane indifferente ai contentini di pochi spicci, preferisce la scaramanzia di lasciarle lì nella buca ad attendere insieme a lui il colpo grosso.

Che ce dovrà fare poi coi soldi putacaso vince, mi sussurra complice alzando un solo baffo il barista mentre mi serve il caffè. Certe mattine lo attorniano altri avventori, abituè del bar, che s’intromettono, sedicenti esperti di calcoli probabilistici, per avvertirlo che solo ieri la macchinetta ha scaricato il suo contenuto di fortune a Chicchetto il meccanico. Gli conviene lasciare che il rumeno della pausa cantiere delle undici la riempia e tornare dopo pranzo per il bottino.

Ma Alfredo non dà retta ai menagrami, manco li guarda: lo sa che vogliono fregargli il posto ma finchè c’è lui, che arriva insieme al Baffo la mattina presto, che tanto manco può dormire, non c’è spazio per nessuno e la fortuna, si sa, aiuta l’audace, non certo i gufi alle spalle .

Ogni tanto, a intervalli regolari, si volta di pochi gradi verso il Baffo intento a decorare un cappuccino o a scaricare con colpo sordo una cialda usata e gli ordina: cambiame dieci euro.

Finchè alle 9,20, puntuale come una bolletta dell’Ama, ad Alfre’ squilla la tasca del giubbotto blu. Sbuffando un rassegnato che vuole sta rompicojoni, risponde alla moglie che gracchia dall’altro capo del telefono:

‘Ndo stai? –come se non sapesse la risposta – Me le porti ste ciriole o debbo scenne io?

Te le porto, te le porto, la rassicura lui, con la testa piegata sulla spalla a reggersi il cellulare, per lasciarsi le mani libere sui pulsanti.

La mojie – mi confida il Baffo trascinandomi fuori con una scusa – la vedi? sta al tabacchino, in fissa col Meravigliao, il gratta e vinci da cinque euro. Se ne spara na decina al giorno, ma basta che ne vince uno, che daje e daje uno da un euro lo vince, se ne spara altri dieci. Quanti ne ho visti passa’ a sto quartiere – continua  fingendosi rammaricato – che ci si so’ giocati stipendio e pensione, e comincia la lunga lista dei caduti, che finisce co Dario der Quadraro.

E’ na droga sta macchinetta, gli fa eco Fulvio, ex perito dell’acea seduto fuori.

60 miliardi l’anno, mica bruscolini. So’ tutte le pensioni di sti babbei che ci stanno a rota, loro ce le buttano e sti stronzi ci si arricchiscono.

Ma no, si giustifica Fulvio dalla sedia, io al massimo cinque euro. Quando finiscono ciao, me ne torno a casa.

Allora ste dieci euro? Strilla la voce dal giubbotto blu sulla macchinetta, daje sbrigate che fra un po’ arriva er rumeno a ricaricammela.

Vengo, risponde il Baffo rientrando. Buona giornata, architè, e lasciali perde questi che un giorno te li trovi come er barbone coi cinesi che je portano la stagnola col riso.

Antonio Pizzola

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