Vent’anni di maltrattamenti, 54enne potrà tornare al lavoro con il braccialetto elettronico

Potrà recarsi al lavoro, ma solo con il braccialetto elettronico ben stretto al polso. E’ quanto deciso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Sulmona, che ha concesso al 54enne di Pratola Peligna, accusato di maltrattamenti in famiglia.

L’uomo è finito agli arresti domiciliari a seguito della denuncia-querela presentata dall’ex moglie alle forze dell’ordine a inizio novembre. I carabinieri hanno subito attivato il codice rosso, che ha così portato alla misura cautelare stabilita dal giudice, Francesca Pinacchio, lo scorso 17 novembre.

L’uomo, che è stato munito anche di braccialetto elettronico per il rischio che possa disattendere la misura, è accusato di aver picchiato la moglie.

Le accuse sono pesanti, con vent’anni di vessazioni che sarebbero andate avanti tra il 2000 e il 2023. L’uomo, durante l’interrogatorio di garanzia, ha fatto scena muta davanti al giudice. Tuttavia, la difesa del 54enne ha depositato ricorso al Tribunale del Riesame dell’Aquila, il cui caso sarà vagliato lunedì. In fase d’indagine, secondo I legali che assistono l’indagato, Alessandro ed Enzo Margiotta, in fase di indagini i figli dei coniugi sarebbero stato ascoltati senza sapere di potersi avvalere della facoltà di non rispondere.

6 Commenti su "Vent’anni di maltrattamenti, 54enne potrà tornare al lavoro con il braccialetto elettronico"

  1. Come mai sono stati rimossi i commenti???

    • perchè ci sono profili diffamatori

      • Qual è la definizione di diffamatorio? Perché altrimenti il confine diventa labile. Non mi pare che quanto scritto fosse volgare a tal punto da ledere la dignità… Domanda, perché per la notizia sul banchiere è stato riportato nome e cognome mentre qui no?

        • Essendo la diffamazione un reato procedibile a querela e avendo l’interessato già segnalato che intende adire le vie legali contro di lei, abbiamo ritenuto di dover eliminare i suoi commenti. In relazione al secondo quesito nel primo caso c’è una condanna definitiva e il consenso della parte offesa a fare il nome, nel secondo la deontologia impone la tutela della parte offesa

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