Bella ciao, la guerra di Di Pietro

E’ un libro senza pretese letterarie, né storiche, ma che nella sua semplicità restituisce squarci autentici della coscienza civile e del coraggio popolare che portò alla costruzione della nostra Repubblica e soprattutto alla liberazione dal nazifascismo.
A scriverlo alla veneranda età di 94 anni è uno dei pochi protagonisti della Brigata Majella rimasti ancora in vita, Raffaele Di Pietro, che sulle montagne dell’Appennino, lungo l’avanzata per la liberazione di Bologna, rimase ferito ad un braccio e a una gamba per l’esplosione di una granata.


“Dai due conflitti mondiali alla Brigata Majella” (Edizioni Qualevita) è un documento, soprattutto, che dovrebbe essere letto nelle scuole e ai ragazzi, perché oggi, mentre i canti di “Bella ciao” invadono le piazze del mondo, il senso di quel ritornello cantato, tra le tante volte, la notte di Natale del 1944 quando la Brigata rientrò trionfante a Modigliana dopo l’aspra resistenza opposta ai tedeschi, può essere compreso a fondo. Perché “La guerra è brutta – scrive Di Pietro -, ma talvolta può sembrare divertente”.


E’ un ricordo lucido quello di Di Pietro, che segue non tanto la ricostruzione dei fatti, quanto le linee dei brividi, dei sentimenti personali e collettivi, dei compagni uccisi sotto ai suoi occhi, come il partigiano sulmonese Oscar Fuà, raggiunto da un proiettile alla testa durante l’arretramento di Belvedere di Moniticino, fatta “a carponi, strisciando sul ventre, sotto il fuoco nemico. (…) Noi patrioti che avevamo combattuto durante tutta la notte e che eravamo stanchi, sfiduciati, affamati, con i vestiti lacerati e fradici di fango”.


Il libro è stato presentato qualche giorno fa dall’associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili di cui Di Pietro è presidente: una testimonianza e un omaggio che accompagna la realizzazione, finalmente, del monumento alla Brigata Majella inaugurato da poco a Sulmona e dedicato ai partigiani e a quelli della Brigata Majella in particolare: un manipolo di abruzzesi montanari guidati da Ettore e Domenico Troilo, diventati presto un vero e proprio esercito che insieme agli alleati liberò l’Appennino da Casoli a Bologna.

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